Studente presso la facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, scrittore per il Prosperous Network. Fra fumetti, tecnologia e libri mi appassiono alla politica nostrana.

Gli attriti tra politica e magistratura sono di casa in Italia. Molti di noi ricorderanno il travagliato rapporto tra Silvio Berlusconi e la giustizia, ma non si tratta dell’unico né del primo caso. Oggi ci troviamo di fronte ad un nuovo, duro scontro e viene da chiedersi: qual è la novità?

Una storia lunga quasi un trentennio

Senza andar troppo indietro nel tempo basta tornare ai fatti del 1992 (Tangentopoli) per individuare un grande spartiacque nel rapporto tra politica e magistratura. Qualcosa si rompe nel momento in cui la magistratura mette le mani negli affari loschi della politica, smascherando dei giochi di mazzette e corruzione che ha portato in un brevissimo lasso di tempo il sistema partitico d’allora al collasso. Si discute sul fatto che gran parte di quelle operazioni si siano trasformate in gogne mediatiche ai danni di alcuni assolutamente mal gestite dalla giustizia (o, addirittura, senza giustizia). Da allora, pur a seguito di numerosi mutamenti nel modus operandi di magistratura e politica, i due poteri dello Stato hanno continuato a pungersi. Il loro rapporto non sarà più lo stesso, da allora in avanti si assisterà ad un grande braccio di ferro, pur caratterizzato da fasi di stallo e fasi di grande contrasto.

Casi illustri

Proprio negli anni di Tangentopoli sicuramente il personaggio che più ha incarnato un ruolo d’attrito nei confronti della magistratura è stato Bettino Craxi, segretario del Partito Socialista Italiano dal 1976 al 1993 e Presidente del Consiglio fra il 1983 ed il 1987. Negli anni ‘90 Craxi è coinvolto in svariati processi per corruzione che lo vedono travolto da una persecuzione mediatica senza precedenti. Nel maggio del 1994, finita la legislatura e dunque cessata la propria immunità, mentre ancora sono in corso i procedimenti giudiziari relativi alle accuse di corruzione, l’ormai ex segretario del PSI se ne va in Tunisia, ad Hammamet. Inutile in quei giorni il ritiro del passaporto per pericolo di fuga: Bettino è già scappato, oppure “in esilio”, a seconda della visione che si ha della vicenda.

Craxi nella sua residenza ad Hammamet

È interessante osservare il punto di vista del politico in una fase in cui il braccio di ferro lo stavano vincendo certi interpreti della giustizia. Durante gli ultimi mesi trascorsi in Italia e negli anni della cattività tunisina Craxi non si dava per vinto: aveva ammesso l’esistenza di un sistema di finanziamenti illeciti del sistema partitico tutto, da cui nessuno era escluso, ma rifuggiva qualunque accusa di corruzione personale. Scriveva:

«Costava tutto. La macchina burocratica, con le sue spese, i suoi servizi, le sue esigenze. Costava l’attività in quanto tale, con le sue riunioni, i suoi convegni, le sue conferenze, le sue manifestazioni, i seminari, i congressi. […] Le opposizioni approvavano regolarmente il finanziamento illegale dei partiti che era in realtà il tratto dominante del sistema generale di finanziamento della politica. A questo sistema di finanziamento concorrevano in forme varie tutti i maggiori gruppi economici ed industriali del Paese. […] Si ricorre in un vizio che è antico come il mondo, che è quello di ricercare capri espiatori, di demonizzare un passato che diviene facilmente preda della demonizzazione una volta che tante menzogne prendono il posto della verità […]. In questo modo, attorno ad ogni finanziamento piccolo o grande che viene scoperto si apre uno scandalo, si pronunciano condanne senza badare al fatto di chi sia veramente il responsabile, ma tenendo soprattutto in conto che il suo nome sia o sia stato un nome illustre. E su di un nome illustre lo spettacolo è assicurato, e con esso il processo diventa un processo di piazza».

(Craxi B., Io parlo, e continuerò a parlare – Note e appunti sull’Italia vista da Hammamet (a cura di Spiri A.), Milano, Mondadori 2014).

Bettino Craxi muore nel 2000 ad Hammamet, mentre intanto alcuni elementi della giustizia si buttano in politica a riempire i posti lasciati vuoti dagli epurati.
Da quel momento il rapporto tra politica e giustizia non sarà più lo stesso. Tuttavia in seguito i due sistemi, anche per via di svariati mutamenti endogeni, non avranno più modo né necessità di incontrare un tale livello di criticità; per dirne una, in confronto ai fatti craxiani gli inciampi giudiziari di Berlusconi sembrano barzellette. A dire il vero anche lo stesso processo Andreotti, avviato contemporaneamente a Tangentopoli, non si è trasformato nel medesimo tritacarne pubblico che ha macellato l’ex segretario del Garofano. Tutto è rimasto nei ranghi. Due pesi e due misure?

L’era Berlusconi

È curioso dare una rapida occhiata anche a come il Cavaliere si sia rapportato all’autorità giudiziaria che in tempi recenti si è spesso interessata alle vicende dell’ex Presidente del Consiglio. Sono 36 i procedimenti che hanno visto Berlusconi protagonista nel corso del tempo, di cui ben 5 quelli ancora in corso. Solo uno di tutti questi ha portato ad una sentenza di condanna, ovvero il processo Mediaset per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita. Di fronte alla condanna per 4 anni di reclusione, Berlusconi è decaduto dal ruolo di senatore nel novembre 2013 per via della legge Severino, vedendosi solo in seguito affidato ad attività di servizio sociale, svolte in una clinica per anziani fino al marzo 2015, quando la Corte d’appello di Milano ha dichiarato espiata la pena.
Ci siamo trovati di fronte a quello che di primo acchito potrebbe anche sembrare un vero accanimento giudiziario, e la risposta politica di Silvio Berlusconi non si è mai fatta attendere. Nella sua dialettica ha spesso parlato di togati vicini agli ambienti di sinistra (se non comunisti) come i nemici principali della propria politica e più in generale della libertà e della democrazia.

Il discorso da affrontare sarebbe di estrema complessità. È innegabile che ogni magistrato possa avere un’inclinazione piuttosto che un’altra, è una cosa lampante specialmente presso i vertici degli organi giudiziari. Il Consiglio Superiore della Magistratura, non è una novità, vive il fenomeno correntizio. Rimane che alla fine dei conti a dire l’ultima parola è la legge e che alla luce di questa Berlusconi qualcosina che non andava l’ha pure fatta. Non mi riferisco solo al processo di cui sopra, ma anche alle innumerevoli volte in cui si è tentato di utilizzare gli strumenti legislativi in capo al governo e alla maggioranza parlamentare favorevole per aggirare certi ostacoli che si sono presentati dinanzi percorso del Cavaliere… Comunque, Berlusconi si è sempre posto in un atteggiamento di aperta contrapposizione rispetto alla magistratura, e a questo proposito viene proprio da chiedersi: che differenza c’è tra Berlusconi ieri e Salvini oggi?

Giustizia vs volontà popolare

Assistiamo oggi ad un nuovo scontro tra esponenti politici ed esponenti della magistratura. Ormai ci siamo abituati, si dirà. Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini si sta rendendo protagonista di dichiarazioni importanti nei confronti della giustizia e lo sta facendo adottando dei toni di natura molto diversa dal passato. Non mi riferisco al semplice modo di parlare brusco derivante dall’utilizzo dei social, quanto piuttosto al fatto che di fronte ad indagini e sentenze definitive ci si appelli al Popolo con fare intimidatorio verso gli organi di giustizia. Si potrebbe fare una lista di quante il nostro Ministro dell’Interno ne abbia sparate nelle ultime settimane (“sparate” sì, perché di sparate si tratta). Dall’invito provocatorio ad indagare su di lui in occasione del caso Diciotti di metà agosto sino alle dichiarazioni inerenti alla sentenza sui 49 milioni che la Lega dovrà restituire: si manipola il concetto di giustizia e volontà popolare a proprio piacimento tentando di sollevare un consenso che sembra quasi un’istigazione alla rivolta contro i togati. «Temete l’ira dei giusti» dice rivolgendosi ai giudici. Dichiara di non voler mollare di fronte ad insulti e minacce, che poi sarebbero sentenze in capo al proprio partito, creandosi con abilità una fitta rete di seguaci ogni giorno in costante aumento. Il Capitano risulta essere l’unico e vero protettore degli Italiani, è questo quello che conta ed è questo che passa agli occhi di un elettorato sempre più corposo: la Lega negli ultimi sondaggi svetta al di sopra di tutti con un roboante 33.5%, è storia. Ammesso che si possa ancora parlare in questo caso di braccio di ferro tra politica e magistratura, appare indubbio che questa partita l’abbia del tutto in mano la politica perché essa (o meglio, perché Salvini) ha dalla sua un Popolo che la sorregge. È la retorica vincente di un martire per la sicurezza degli Italiani.
Tra le altre cose, lo stile di Salvini in questo senso ci pone di fronte ad una rottura con lo stile dei precedenti membri dell’esecutivo e col partner di governo stesso. Da un lato il centrosinistra, col forte garantismo coniugato al grande rispetto (almeno apparente) per gli organi di giustizia, dall’altro il MoVimento 5 Stelle col forte giustizialismo e, di naturale conseguenza, un (almeno apparente) grande rispetto per gli organi di giustizia. Si capiscono gli imbarazzi che Salvini avrà creato tra le fila dei grillini.

Salvini vs giustizia: capitolo ennesimo.

Proprio in queste ore stiamo assistendo ad un’altra manifestazione di forza bruta da parte del Ministro dell’Interno. Indagato dalla Procura di Palermo per sequestro di persona aggravato (una modifica rispetto a quanto precedentemente emesso dalla procura di Agrigento, non si tratta di una nuova indagine), nella giornata di ieri Matteo Salvini si è visto recapitare dai Carabinieri una lettera contenente l’avviso di garanzia, mostrata in una diretta Facebook. Nel video egli dialoga con i propri elettori e si pone nuovamente a viso aperto nei confronti di un pezzo di magistratura, quella che secondo il Ministro «si proclama di sinistra», in parole povere quella magistratura che nello svolgere il proprio lavoro non guarda in faccia al Ministro. Dice:

«Io sono stato eletto, i magistrati no».

Si tratta di parole che si commentano da sole, dal carattere eversivo e provocatorio, oltre che portatrici di ulteriore scompiglio e rabbia tra la popolazione confusa, sempre più attaccata al proprio beniamino. Rispetto a quanto detto in precedenza in merito alla compagine di Governo, sia Di Maio che Bonafede (Ministro della Giustizia) hanno richiamato Salvini per i toni troppo aspri nei confronti della Magistratura. Dice Bonafede:

«Il ministro dell’Interno può ritenere che un magistrato sbagli ma rievocare toghe di destra e di sinistra è fuori dal tempo. Non credo che Salvini abbia nostalgia di quando la Lega governava con Berlusconi. Chi sta scrivendo il cambiamento non può pensare di far ritornare l’Italia nella Seconda Repubblica».

Al di là della validità argomentativa di Bonafede (da quando in qua siamo in una Terza Repubblica?) appare chiaro che forse qualcuno sta drizzando le orecchie rispetto alla violenza delle parole di Salvini. Il Ministro applica una tattica che sicuramente sta pagando molto, ma che tende a produrre anche delle tensioni sociali non indifferenti e che a lungo andare potrebbero creare un clima addirittura pericoloso. Certo, in fin dei conti non è che questo importi più di tanto al nostro amatissimo Capitano.