Studente presso la facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, scrittore per il Prosperous Network. Fra fumetti, tecnologia e libri mi appassiono alla politica nostrana.

Se c’è un personaggio che occupa trasversalmente il cuore degli Italiani fra gli uomini di governo, questo è Marco Minniti. Il ministro più amato dall’elettorato, col 41% di gradimento (dato di maggio) guida il dicastero dell’interno per il gabinetto Gentiloni, e lo fa con uno stile tutto suo.

L’impatto che egli riesce a dare è quello di una persona ferma, sicura e severa, nelle sue esternazioni tanto quanto nei fatti, ed è forse per questo che è riuscito a farsi rispettare da tutte le forze moderate. Ma chi è davvero Marco Minniti?

Marco Minniti, l’oscura minaccia a Renzi
Anziché partire dall’inizio, come il criterio cronologico imporrebbe, è utile guardare prima a cosa rappresenti Marco Minniti oggi, non solo per il governo, ma anche per la dialettica politica e per il PD, suo partito di provenienza. L’altissima approvazione che Minniti sta riscuotendo, fra la gente così come presso le alte cariche dello Stato, imbarazza e non poco i vertici PD, che vedono trasformare la propria creatura in una bomba ad orologeria. C’è chi, osservando l’approvazione trasversale provata dall’elettorato, lo immagina come possibile candidato premier del PD: sarebbe la sconfitta politica di Renzi. Proprio per questo i membri democratici del Consiglio dei Ministri hanno cercato di ridimensionarlo, smorzando la generale soddisfazione mostrata per il lavoro svolto che secondo le indiscrezioni sarebbe giunta anche dal Capo di Stato in persona, Sergio Mattarella.

Come si è arrivati a questo? Ripercorriamo insieme la storia del ministro dell’interno.

Minniti, ministro dell’interno
Marco Minniti diviene ministro dell’interno nel dicembre del 2016, nominato dal governo Gentiloni, subentrando ad Angelino Alfano, tuttora ministro degli esteri. Il compito del ministro dell’interno è certamente delicato, dovendosi occupare della sicurezza interna del Paese oltre che dello svolgimento delle elezioni ed altre incombenze interne; il periodo in cui Minniti ha preso in carico un tale compito non è da sottovalutare, nel pieno della minaccia terroristica. Certo, senza voler nulla togliere ad Alfano, che aveva ricoperto questo ruolo nelle stesse condizioni di pericolo generale, condizioni tra l’altro condivise con lo stesso Minniti, allora sottosegretario con delega ai servizi segreti. Forse proprio in virtù di questa situazione un uomo col suo carisma, capace di trasmettere disciplina anche solo a parole, ha potuto riscontrare subito un sentimento positivo da parte della popolazione. Minniti come si diceva non era nemmeno nuovo ad incarichi nel campo: ha ricoperto più volte ruoli atti alla gestione della sicurezza all’interno del proprio partito (PdS prima, PD poi), facendo il ministro dell’interno nel “governo ombra” guidato da Veltroni nel 2008 (ruolo senza alcuna valenza giuridica, che ricalca lo shadow cabinet britannico, voluto dal Partito Democratico a seguito delle elezioni perse nel 2008). Vice ministro dell’interno per il governo Amato II, recentemente ha ricoperto l’incarico di Sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti per i governi Letta e Renzi.

Operato ministeriale
La prima vera grande opera a finire sui giornali da ministro dell’interno Minniti la compie sul fronte libico, andando ad incontrare il presidente del consiglio presidenziale Al Sarraj ed alcuni collaboratori per discutere sul tema dell’immigrazione illegale e clandestina, un argomento caro al ministro, inerente alla sicurezza nazionale; i due politici si sono dimostrati vicini ed aperti alla collaborazione.

La questione libica è stata sempre al centro dell’agenda ministeriale: è da là infatti che i principali flussi migratori si dirigono verso il nostro paese, ed è là che l’Italia è dovuta andare ad operare da sola, senza l’apporto dei vertici europei, che pure in precedenza avevano invece influito sulla gestione dei flussi dalla Turchia alla Grecia. Un cammino in salita per Minniti, che in aprile ha visto bene di incontrare i capi tribù del sud del paese al fine di raggiungere degli accordi ed ottenere una migliore gestione dei flussi andando ad agire alla radice del problema, trattando direttamente con la popolazione. Una mossa senza dubbio abile.

L’immagine, seppur di bassa qualità, ritrae il ministro a seguito dell’incontro coi capi tribù del sud della Libia.

Il fulcro dell’operato al Viminale è però il decreto Minniti – Orlando, ovvero le “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Un testo controverso che ha spaccato in due l’opinione politica, una mossa che ha avuto l’intento duplice di diminuire i tempi del riesame per la richiesta d’asilo e facilitare l’espulsione dei migranti irregolari. Limitare le possibilità di ricorso da parte dei richiedenti asilo per avere tribunali meno intasati ed ottenere un calo del numero stesso di immigrati non in regola.

Focus: il decreto Minniti-Orlando
Sono quattro i punti cardine del provvedimento:

  1. Abolizione del secondo grado di giudizio per i ricorsi dei richiedenti asilo contro un diniego.

  2. Abolizione dell’udienza in primo grado: il giudice prende visione del video dell’udienza del richiedente asilo con la commissione territoriale e solo su questa si baserà per formulare la propria decisione.

  3. Sono istituiti nuovi centri di accoglienza denominati CPR (Centri Permanenti per il Rimpatrio), uno per ogni regione, andando di fatto ad allargare molto la rete dei centri di detenzione per gli irregolari su tutto il territorio.

  4. Introdotto il lavoro volontario per i migranti accolti.

In parole povere si tratta di un provvedimento estremamente ricco di novità, con degli obiettivi molto chiari, tuttavia a parte dell’opinione politica tale mossa non è piaciuta affatto. In particolare la sinistra di MDP si è scagliata contro il governo che, voce del PD, non dovrebbe inseguire le destre nel tema dell’immigrazione; ridurre i diritti dei richiedenti asilo, cosa oggettivamente avvenuta, non è da contemplarsi fra le politiche del centro-sinistra. Alle critiche Minniti ha risposto così: «Se uno scappa da una guerra o una carestia penso che il mio Paese debba accoglierlo, dargli protezione e successivamente integrarlo. Se, invece, è al di fuori della legge deve essere rimpatriato». Una chiarezza ed una fermezza che forse non ci aspetteremmo da un filosofo e che lascia spiazzati. Minniti infatti, laureato in filosofia, utilizza un linguaggio molto diretto ed è chiaro rispetto ai propri obiettivi, senza farsi tanti problemi riguardo alle parti politiche: se una cosa va fatta, si fa, e come dice lui stesso: «Ho l’urgenza del fare perché c’è un dato semplicissimo: io avverto il logoramento delle parole. Mi sono formato a una scuola di parole. Sono laureato in Filosofia e nel lungo tempo mi sono occupato di filologia classica, quindi le parole erano il mio elemento naturale, come il pesce nell’acqua. […] Non ho mai parlato di una cosa che avrei fatto, in questi tre mesi, ma ho sempre cercato di comunicare una cosa che avevo già fatto. Ecco il perché dell’urgenza del fare».

Sicurezza interna
Ovviamente tutto quello che si è detto sul fronte estero ha avuto un filo diretto con la sicurezza interna, garantita dal Viminale con successo in questi mesi di tensione; forse l’evento più importante coordinato dalle forze di polizia è stato il G7 di Taormina, una location divenuta blindata per l’occasione nel vero senso della parola, non si è trattato infatti di solo spiegamento di forze, ma di una vera e propria sigillatura del paese arroccato su quelle meravigliose rocce a strapiombo sul mare.

Taormina vista dall’alto.

La tensione però si è fatta forse ancor più alta proprio in questi ultimi giorni, visto che sono sembrate vere più che mai le minacce dell’ISIS all’Italia, che come sappiamo rappresenta quasi un unicum fra i grandi paesi dell’UE in quanto a numero di attentati subiti, cioè zero. Lasciatosi alle spalle il grosso del lavoro sui migranti, insomma, il ministro dell’interno deve affrontare una nuova fase dell’antiterrorismo, e lo fa proprio andando a rendere conto dei rimpatri effettuati nel 2017, pari a 70.

Approvazione in crescita, carriera in discesa
Come si diceva, nonostante il Partito sia in alcune sue componenti un po’ infastidito dal successo di Minniti, l’approvazione fra le cariche dello Stato rimane generale, e qualcuno comincia ad azzardare paragoni importanti. Minniti sarebbe destinato non solo a palazzo Chigi, ma addirittura al Quirinale. A succedere a Sergio Mattarella, estimatore del lavoro del ministro, sarebbe proprio lui. L’interno come un trampolino di lancio verso la più alta carica del paese, un percorso già segnato fra gli altri da Cossiga e da Napolitano.

Cossiga abbraccia un giovanissimo Minniti.

Anzi, di Cossiga Minniti è stato il pupillo, è da lui che ha appreso metodologie e politiche di sicurezza nel corso degli anni ’90… (è vero, ci sarebbe materiale per scrivere altri 6 articoli sui trascorsi politici del ministro!). Ma senza volare troppo in alto, Minniti sta sicuramente mostrando di poter mangiare la concorrenza a suon di fatti e carisma, e questo agli Italiani sta piacendo, eccome.