Nata a Gubbio, ora studentessa di Scienze Politiche presso l'Università degli studi di Perugia. Amo la fotografia, i libri, la musica e la politica. Una ne faccio, cento ne penso.

Così la chiama qualcuno, la “svolta bonapartista” di Emmanuel Macron.

Quell’uomo giovane, carismatico e deciso, presentatosi umilmente alla corsa all’Eliseo come “inviato di Giove” chiamato a sconfiggere Marine Le Pen, ha visto interrompersi bruscamente l’ondata di entusiasmo (francese e non) per la sua elezione.

Il suo indice di gradimento, infatti, è sceso di ben 10 punti in nemmeno 3 mesi. Questo è quanto emerge dal sondaggio condotto da Ifop tra il 17 e il 22 luglio: dal 64% al 54%. Peggio di lui solo Jaques Chirac nel 1995.

Ma a cosa è dovuto questo sentimento di delusione diffusa?

Di certo Macron non ha mai nascosto la sua natura decisa e leggermente narcisista, anzi questi aspetti hanno contribuito a crearne il “personaggio” di uomo forte, così tanto in contrasto col suo predecessore Francois Hollande e che ha conquistato il cuore dei francesi e degli europeisti più convinti.

Ma alcuni suoi recenti comportamenti e dichiarazioni hanno fatto storcere il naso a molti dei suoi sostenitori, soprattutto italiani. Vediamone un po’.

UN NUOVO RITRATTO PER EMMANUEL

Questa notizia ha fatto impazzire i giornali in questi mesi poveri di avvenimenti politici rilevanti. Macron avrebbe richiesto una modifica del suo ritratto ufficiale con uno più grande, sostituendo quindi quelli già esposti, per un costo totale di 2,7 milioni di euro a spese dei Comuni francesi.

Il fatto, seppur politicamente irrilevante, ha aperto la strada alle insinuazioni sulla presunta megalomania del Presidente e su quanto questo “capriccio” possa far pensare ad un eccessivo autoritarismo da riversare poi sulle scelte politiche.

A parte tutte le congetture, il piglio decisionista di Macron si è poi effettivamente mostrato in altre occasioni, e con esso il progressivo scemarsi di quel principio di “fraternité” europea che tanto aveva animato la sua campagna elettorale.

DIETROFRONT IMMIGRAZIONE

Il primo scoglio contro cui si infrange la retorica europeista che ha portato Macron alla vittoria è proprio quello della questione migranti.

La Francia ha infatti duramente respinto tutte le proposte fatte dall’Italia al vertice di Tallin del 6 luglio, tra cui l’apertura dei porti del Mediterraneo alle navi del soccorso migranti, il ricollocamento di questi ultimi tra i Paesi dell’Unione e l’aumento delle nazionalità riconosciute come provenienza dei richiedenti asilo.

Una distinzione che è stata fatta dal presidente francese è quella tra richiedenti asilo e migranti economici: chi scappa da guerre e persecuzioni ha diritto all’accoglienza, mentre non la ha chi invece cerca “solo” migliori condizioni di vita.
Il fatto che questi ultimi rappresentino la maggioranza di chi sbarca sulle nostre coste non ha fatto differenza.

Gli accordi di Dublino, i quali prevedono che accoglienza e riconoscimento spettino al Paese di primo approdo, vengono rimaneggiati nella forma ma non nel contenuto: l’Italia viene ancora una volta lasciata sola a fronteggiare questa emergenza. Le porte si chiudono non solo ad est, dove la tratta Greca è stata di fatto chiusa dal muro ungherese di Viktor Orban, ma anche da parte dei nostri vicini: Vienna aveva minacciato addirittura di schierare l’esercito al Brennero, mentre una linea impenetrabile si stende per tutto il confine francese, dove Ventimiglia è divenuto una sorta di accampamento da cui i migranti cercano in tutti i modi di introdursi in Francia.

Un’altra questione calda è quella Libica, dove la Francia sta lentamente scalzando l’Italia dal suo ruolo storico di mediatrice. La Libia è zona rossa: dalle sue coste che parte il 97% dei migranti che approdano poi in Italia.

La gestione interna delle partenze dei barconi, da tempo obiettivo del governo italiano, è resa più difficile dalla mancanza di stabilità in Libia. Il governo riconosciuto dall’Onu con sede a Tobruk presieduto da Fayez Al-Serraj vede infatti l’opposizione del generale di Tripoli Khalifa Haftar e dei suoi seguaci. In questa direzione sembra muoversi perciò Macron, che, in autonomia dal resto d’Europa, ha presieduto un vertice diplomatico tra i due leader il 25 luglio ed ha annunciato la creazione di hotspot in Libia, ovvero centri per i richiedenti asilo.

Scocciate le reazioni da parte di Angelino Alfano, Ministro degli Esteri, per cui “i centri vanno gestiti da organizzazioni internazionali” e del premier Paolo Gentiloni che si oppone alle “battute improvvisate” della Francia.

CANTIERI NAVALI: ITALIA VS FRANCIA?

In ultima analisi la recente questione dei cantieri navali di Saint-Nazaire, che sembra aver prodotto impennate di patriottismo nostrano.

Il motivo è presto detto. La gestione dei suddetti cantieri era infatti stata affidata, dopo un’asta, per 2/3 a Fincantieri, la partecipata italiana leader nel settore. Questo accadeva sotto Hollande. Macron ha voluto riaprire la questione chiedendo una compartecipazione al 50% Fincantieri-Stato francese e, se questo non dovesse verificarsi, allora la Francia eserciterà il proprio diritto di prelazione con scadenza il 29 luglio e nazionalizzerà i cantieri STX. Dure le reazioni di Calenda e Padoan, ministri dello Sviluppo Economico e del Tesoro, che parlano di “decisione incomprensibile”.  Il portavoce francese Castaner si giustifica: “Quando si negozia con partner internazionali è normale che lo stato possa alzare i toni. E’ come in diplomazia, bisogna far vedere le armi e mostrare che le armi ci sono. […] Si vuole riaffermare il posto che compete alla Francia, gli interessi nazionali della francia in Stx, in questi grandi cantieri navali che sono fondamentali per la nostra economia nazionale”.

Quindi non una minaccia definitiva, quanto una specie di “spauracchio” per l’affermazione degli interessi francesi.

FAVOLA BREVE?

Anche sul fronte interno, Macron sta incontrando non pochi malumori. Tra il rinvio di impegni presi in campagna elettorale, come l’abbassamento delle tasse, a fronte invece di una riduzione dei fondi per gli alloggi dei meno abbienti; la prova di forza pubblica culminata con le dimissioni del Capo dell’Esercito De Villiers, in disaccordo con i tagli al budget per la Difesa.

Insomma l’uomo che si era imposto su una scia di entusiasmo senza precedenti in Europa sembra già perdere consensi, e tutti i buoni propositi della campagna sembrano svanire pian piano come neve al sole. Le parole perdono consistenza quando incontrano le difficoltà della politica reale.

Resta dunque da chiedersi, in conclusione, è mai davvero esistito il “Presidente perfetto”, “l’inviato di Giove”, il “federalista europeo”, oppure ce lo siamo immaginati noi?