Il 23 marzo 2010, l’allora Presidente statunitense Barack Obama firmò The Patient Protection and Affordable Care Act, spesso chiamato ACA o, soprattutto, Obamacare. Da quel giorno, uno dei punti focali del programma del Partito Repubblicano è stato senza dubbio il superamento di questa legge, come ribadito anche da Donald Trump durante la sua campagna presidenziale. La strategia scelta dal tycoon, in linea con il pensiero di molti esponenti del GOP, era quella del “repeal and replace”, cioè non semplice abrogazione, bensì abrogazione e sostituzione.
We will immediately repeal and replace ObamaCare – and nobody can do that like me. We will save $'s and have much better healthcare!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) February 9, 2016
Una volta iniziata la presidenza Trump, ci si aspettava sin da subito la presentazione di un piano per il replace, e così è stato. L’8 marzo 2017, l’American Health Care Act è stato approvato da due commissioni della House of Representatives, l’House Energy and Commerce Committee e l’House Committee on Ways and Means (che si occupa anche dei programmi relativi all’adozione, della sicurezza sociale e della scrittura delle leggi che riguardano le tasse). Qualche giorno dopo, anche l’House Budget Committee e la Rules Committee approvarono la proposta di legge. Il voto della Camera era previsto per il 23 marzo, ma fu posticipato di almeno un giorno perché i repubblicani sapevano di non avere voti a sufficienza per l’approvazione. Il 24 marzo, lo Speaker Paul Ryan, in accordo con Donald Trump, annunciò di non voler più procedere con la votazione. Questa decisione era inevitabile, e poteva essere prevista sin dai voti in commissione, durante i quali si notarono i ripetuti voti contrari di un’ala del partito, costituita dai membri del Freedom Caucus, di ideologia molto libertaria e conservatrice. Ad esempio, nell’House Budget Committee, la proposta passò con 19 voti a favore e 17 contrari; in quella commissione, però, sono presenti soltanto 14 membri del Partito Democratico; a loro, infatti, si sono aggiunti ben tre rappresentanti, Dave Bret (Virginia), Gary Palmer (Alabama) e Mark Sanford (South Carolina). In teoria si potrebbe pensare che questo loro rifiuto potesse essere dettato anche dalla paura di non essere rieletti nel 2018, un argomento di estrema attualità all’interno del GOP: le recenti town hall di vari congressisti repubblicani, infatti, sono state contraddistinte da animi estremamente accesi e si è visto chiaramente come molti costituenti non siano affatto contenti del voting record del loro rappresentante distrettuale e delle sue prese di posizione. Per fare un esempio, lo stesso Mark Sanford ha vissuto questa situazione il 17 marzo, quando ha ospitato la settima town hall in tre settimane in un clima definito da alcuni intervistati “abbastanza ostile”. Sempre stando al resoconto di quell’incontro, altri partecipanti intervistati hanno espresso la necessità, per Sanford, di farsi crescere la spina dorsale. Questa questione, all’apparenza quasi ironica, è in realtà molto pressante, perché è sempre più frequente sulle varie piattaforme che si occupano di politica. L’esempio più lampante, a questo proposito, è rappresentato da Paul Ryan, che viene spesso criticato per la sua presunta incapacità di farsi valere nei confronti del Presidente Trump. Far sentire la propria voce, dunque, potrebbe far vedere il candidato sotto una luce positiva agli occhi degli elettori contrari a Trump, e potrebbe dunque essere un modo efficace per guadagnarsi la rielezione, soprattutto se si considera che anche molti sostenitori di Trump continuerebbero a votare per quel candidato, non essendo certo a favore della vittoria di un rappresentante del DNC. Ovviamente, questa non è una formula certa, anzi, meriterebbe un articolo di approfondimento dedicato; quello che ci serve sapere, per quanto riguarda la questione, è che il voto contrario alle proposte più controverse (come lo era questa legge) potrebbe essere una necessità, più che una scelta, per alcuni congressisti, e Sanford potrebbe essere considerato uno di questi, soprattutto alla luce di quanto detto poco fa. In realtà, non è proprio così. Il Freedom Caucus, infatti, non si oppone perché ritiene la Trumpcare (uno dei soprannomi dell’American Health Care Act) troppo estrema ma perché, anzi, ritiene non la considera abbastanza, una specie di Obamacare in versione light. Uno dei nodi cruciali era rappresentato dagli Essential Health Benefits, dieci servizi, tra i quali figurano i servizi di ambulatorio, la maternità e la salute mentale, ritenuti fondamentali e per questo inseriti in tutti i pacchetti assicurativi. L’AHCA aveva deciso di mantenerli, causando il disappunto di questo gruppo di repubblicani, i quali volevano tornare alla situazione precedente ad Obamacare, quando questi servizi potevano essere inclusi nelle assicurazioni, ma non in tutti i pacchetti e molto raramente tutti insieme in un singolo pacchetto.
Come riportato da vari membri di questo caucus, Paul Ryan ha cercato di trovare un punto di incontro promettendo loro che il Senato, una volta approvata la legge nella Camera dei Rappresentanti, si sarebbe impegnato per abrogare i dieci servizi essenziali. Questa promessa, però, ha convinto soltanto un rappresentante, Steve King (Iowa). ll solo King, ovviamente, non era sufficiente, e per questo non si è proceduto con la votazione. Quello che non ha convinto l’ala più intransigente è, come facilmente prevedibile, il fatto che non c’era modo di sapere la promessa di Ryan sarebbe stata mantenuta dai senatori. Mark Meadows (North Carolina), una delle voci di spicco del Freedom Caucus, di cui è anche segretario, si è espresso in maniera piuttosto chiara sulla vicenda: “They have made clear that is their belief, but I have talked to senators who say that not only has it not been adjudicated, but it hasn’t even really been presented in a meaningful way, so that narrative is simply not a narrative based on fact. It’s based on conjecture and belief — which I think it’s a deeply held belief for them, but it’s not based on fact.”
La scelta di non proseguire con la votazione non può che essere stata accolta con favore dai democratici, che si erano sempre opposti fermamente all’AHCA. La loro critica non si limitava soltanto al contenuto della legge, ma anche alla modalità che i repubblicani speravano di adoperare per farla approvare: essi, infatti, hanno presentato la legge e iniziato a farla approvare dalle commissioni senza aver aspettato il parere del CBO (Congressional Budget Office), un’agenzia federale statunitense con il compito di fornire i dati economici al Congresso. La relazione arrivò il 13 marzo, ben cinque giorni dopo il primo voto in Commissione, e prevedeva che 24 milioni di americani avrebbero perso la loro copertura assicurativa entro il 2026 (14 milioni entro il 2018); inoltre, i premi assicurativi sarebbero aumentati nel 2018 e nel 2019, prima di iniziare a calare. Quest’ultimo aspetto è stato sottolineato da Paul Ryan: “When people have more choices, costs go down. That’s what this report shows. And, as we have long said, there will be a stable transition so that no one has the rug pulled out from under them“, mentre Chuck Schumer (DNC, New York) si concentrava di più sull’aumento delle persone senza assicurazione: “Tens of millions will lose their coverage, and millions more, particularly seniors, will have to pay more for healthcare. The CBO score shows just how empty the president’s promises, that everyone will be covered and costs will go down, have been. This should be a looming stop sign for the Republicans’ repeal effort”. Il non aspettare il parere del CBO si univa ad una mancanza di fiducia, da parte della corrente amministrazione, nei confronti dell’agenzia; ciò è piuttosto sorprendente, in quanto si tratta di un organismo sempre ritenuto neutrale e, soprattutto, perché il suo presidente, Keith Hall, era stato nominato capo del Bureau of Labor Statistics (una delle sezioni del Dipartimento del Lavoro) da un Presidente repubblicano, George W. Bush. Una delle critiche più severe è stata espressa da Gary Cohn, direttore del National Economic Council, che ha definito “meaningless” la relazione del CBO.
Dopo quanto successo in quei giorni di marzo, i vertici del partito capirono che l’unica soluzione era rappresentata dalla cooperazione e dal compromesso; per questo, il Rappresentante moderato Tom MacArthur iniziò a lavorare ad una nuova versione della legge insieme al sopracitato Meadows. Il risultato del loro lavoro fu presentato il 25 aprile. In questa versione, gli Stati avevano la possibilità di abolire i dieci servizi essenziali (non era obbligatorio, ma potevano farlo. Perfetto esempio della necessità di trovare un punto di incontro); inoltre, gli assicurati con più di 50 anni avrebbero pagato di più e, soprattutto, le persone con le cosiddette pre-existing conditions sarebbero state piuttosto svantaggiate, in quanto avrebbero dovuto pagare premi più alti. Per pre-existing conditions si intendono condizioni mediche verificatosi prima della stipulazione del contratto con l’assicurazione, come l’alzheimer, l’epilessia e la gravidanza. Il 3 maggio, il Partito Repubblicano annunciò di avere abbastanza voti per l’approvazione; la votazione si svolse il giorno dopo, e la legge fu approvata, seppur con uno scarto minimo, 217 a 213. Ben 20 repubblicani votarono contro, ma questa volta non si trattava di membri del Freedom Caucus, bensì del Tuesday Group, composto da molti elementi di spicco dell’ala moderata del GOP, che considerava troppo estrema la legge. Si noti come, anche in questo caso, non si sia atteso il parere del CBO, che arrivò il 24 maggio, e che anche questa volta non fu certo benevolo nei confronti dell’AHCA; secondo l’agenzia, questa legge farebbe perdere la copertura a 23 milioni di persone, lo Stato risparmierebbe 119 miliardi (meno di quanto previsto inizialmente) e, soprattutto, le persone residenti in Stati che decideranno di eliminare i benefici essenziali finirebbero per pagare, nel complesso, di più rispetto a chi vive in Stati che li manterranno.
Dopo l’approvazione, la legge è passata in Senato; a questo punto, i senatori repubblicani erano consapevoli di dover applicare profonde modifiche per farla passare, visto che in questa camera il margine di sicurezza era molto minori: sarebbero bastate soltanto tre defezioni, infatti, per far fallire il progetto. Il risultato di queste modifiche è stato il Better Care Reconciliation Act, presentato il 22 giugno. Uno degli aspetti più interessanti del BCRA è il modo in cui cerca di affrontare una questione spinosa: affinché il mercato funzioni correttamente, è necessario che anche le persone al momento sane comprino pacchetti assicurativi. Come convincerli a fare ciò e a non aspettare di ammalarsi per ottenere la copertura? L’ACA prevedeva delle sanzioni fiscali, mentre il BCRA ha optato per un aumento del 30% del costo del pacchetto quando i soggetti decideranno di assicurarsi. Questa strategia ha trovato l’opposizione, tra gli altri, di Larry Levitt, vicepresidente della Kaiser Family Foundation, un’organizzazione non profit che si occupa delle questioni relative all’assistenza sanitaria negli Stati Uniti. Secondo Levitt, infatti, questa soluzione potrebbe addirittura scoraggiare le persone, non incoraggiarle.
I doubt this encourages many healthy people to sign up. That requires a lot of foresight among people not very focused on insurance.
— Larry Levitt (@larry_levitt) June 26, 2017
Altri aspetti da prendere in considerazione sono il taglio dei fondi che il governo federale fornisce ai singoli Stati (già previsto nell’AHCA), la cancellazione della tassa al 3.8% per le persone con un reddito annuo superiore ai 200.000 dollari, un fondo di 2 miliardi per la lotta alla tossicodipendenza, l’aumento degli incentivi fiscali per le persone anziane e la diminuzione degli stessi per la classe media lavoratrice. La legge prevedeva anche un forte attacco verso Planned Parenthood, organizzazione non profit che fornisce vari servizi relativi alla maternità, tra i quali l’aborto. Il BCRA, prevedendo che nessun fondo possa essere usato per finanziare l’aborto. Ciò, oltre a rappresentare un colpo durissimo per l’associazione fondata nel 1916 da Margaret Sanger, ha reso ancora più difficile trovare un numero di voti sufficienti in Senato. La senatrice Susan Collins (Maine), infatti, ha difeso Planned Parenthood, così come Lisa Murkowski (Alaska). Mentre quest’ultima non si sbilanciò sulla sua intenzione di voto, la Collins ha subito messo in chiaro che avrebbe votato contro la legge. Alla senatrice del Maine si aggiunse Rand Paul (Kentucky). Anche in questo caso, la notizia non è stata certo un fulmine a ciel sereno, visto che Paul, dalle idee molto libertarie e da sempre contrario all’ingerenza del Governo in molti settori, ha sempre criticato l’AHCA (e successivamente BCRA), ritenendola una specie di Obamacare light. A questo punto, la situazione era la seguente: 50 senatori a favore, 50 contrari, con il voto di Mike Pence (Presidente del Senato) che avrebbe fatto pendere l’ago della bilancia dalla parte repubblicana. Questa maggioranza, però, era tutt’altro che certa, visto che molti senatori si sono detti, in vario modo, dubbiosi sulla legge e incerti su cosa votare. Tra di essi, ricordiamo la Murkowski (di cui sopra), Dean Heller (Nevada), John McCain (Arizona) e Jeff Flake (Arizona). Il Presidente Trump si è mosso in prima persona per convincere questi senatori indecisi, come si può vedere in questo tweet.
I cannot imagine that these very fine Republican Senators would allow the American people to suffer a broken ObamaCare any longer!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) June 24, 2017
Il senatore Heller è stato anche oggetto di una campagna molto aggressiva promossa da America First Policies, un gruppo composto da alcuni dei campaign advisors di Trump, iniziata quando il senatore dell’Arizona, il giorno prima del tweet di Trump, aveva annunciato che, salvo cambiamenti, molto probabilmente avrebbe votato contro. La campagna si componeva, tra le altre cose, di un video che lo accusava di essere al fianco di Nancy Pelosi, leader della minoranza alla House of Representatives. Oltre ad Heller, anche Flake non sembra essere nelle grazie del Presidente, tanto che egli si è incontrato, in questi giorni, con vari repubblicani (che condividono più di Flake i piani di questa amministrazione) dell’Arizona che potrebbero sfidare il senatore nel 2018. Ricordiamo che, a differenza di John McCain, l’altro senatore dello Stato, Flake vinse con uno scarto molto limitato (49% contro 46%). Il rischio di non essere rieletto, dunque, è piuttosto forte, e questa campagna contro di lui all’interno del suo stesso partito non potrà che rendere le elezioni del prossimo anno ancora più ostiche per il senatore.
Il 15 luglio, il leader della maggioranza al Senato, Mitch McConnell (Kentucky), ha annunciato la posticipazione del voto a causa dell’operazione subita il giorno precedente da McCain (trombosi). Si sarebbe votato, dunque, dopo la completa ripresa post-operatoria del veterano del Vietnam. A questo punto, non si può non parlare, per un momento, di come, in queste ore, a McCain sia stato diagnosticata una forma aggressiva di tumore al cervello. Sono già arrivati, ovviamente, i messaggi di solidarietà da parte di tutto il mondo politico statunitense, sia repubblicano, che democratico.
.@SenJohnMcCain is an American hero. I pray for him and his family. I look forward to seeing him soon.
— Marco Rubio (@marcorubio) July 20, 2017
John McCain is an American hero & one of the bravest fighters I've ever known. Cancer doesn't know what it's up against. Give it hell, John.
— Barack Obama (@BarackObama) July 20, 2017
Chiusa questa piccola, ma dovuta, parentesi, arriviamo al 17 luglio, giorno in cui altri due senatori, Mike Lee (Utah) e Jerry Moran (Kansas) hanno annunciato la loro decisione di votare contro il BCRA. Questo fatto ha segnato la fine definitiva di ogni speranza di approvazione della legge così com’è al momento.
Come prevedibile, molti esponenti del Partito Democratico, come Schumer, hanno espresso la loro contentezza per il fallimento del progetto di legge repubblicano. La senatrice Patty Murray (Washington) ha cercato di tendere una mano al GOP, proponendo un lavoro bipartisan per la stesura di una nuova legge, che dovrà però essere molto diversa da quelle proposte fino ad ora.
Mitch McConnell ha annunciato, però, che la sua intenzione è quella di separare i due processi di repeal e replace e procedere, per il momento, soltanto all’abolizione dell’Obamacare. Questa scelta è motivata da quanto successo nel 2015, quando la votazione per il repeal (senza replace) passò con 239 voti a favore nella House of Representatives (186 contrari) e con 52 nel Senato (47 contrari). Di quei voti contrari, due provennero dalle file del GOP, nello specifico da Susan Collins e da Mark Kirk (Illinois). Considerando che Kirk non è più senatore, il solo voto contrario della Collins non farebbe comunque fallire la votazione, anche in caso McCain non possa votare (cosa che McConnell non sapeva quando annunciò il nuovo piano). La situazione, però, non è così semplice, visto che due senatrici che votarono a favore nel 2015, Lisa Murkowski e Shelley Moore Capito (West Virginia), hanno già annunciato che questa volta non supporteranno l’eventuale proposta. Anche questo piano, dunque, dovrà affrontare molti ostacoli. Un’altra corrente di pensiero, all’interno del partito, è rappresentata dal rappresentante Lindsey Graham (South Carolina) e dal senatore Bill Cassidy, i quali propongono di dare una certa somma di denaro agli Stati e far decidere loro singolarmente se mantenere, più o meno intatto, l’ACA o provare qualcosa di nuovo.
Il 18 luglio, un giorno dopo le dichiarazioni di McConnell e Graham, Donald Trump si è detto estremamente deluso per il fallimento della legge e ha riferito ai reporter che potrebbe semplicemente aspettare che Obamacare fallisca. Secondo lui, dopo che ciò accadrà, i democratici non potranno far altro che andare dai repubblicani e cercare di collaborare.
Non è, quindi, ancora certo cosa accadrà; in ogni caso, la questione health care non è certo finita qui, e continuerà ad essere una delle questioni più rilevanti di questa presidenza.