Studente presso la facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, scrittore per il Prosperous Network. Fra fumetti, tecnologia e libri mi appassiono alla politica nostrana.

Quest’oggi, 2 giugno 2017, in occasione della festa della Repubblica, è più che mai necessario riscoprire il nostro ordinamento, i suoi valori e le sue autorità spesso sottovalutate. Il Presidente della Repubblica potrà sembrare un’autorità scontata, talvolta liquidata con un freddo “è un simbolo, che vuoi che possa fare?”, in realtà è forse la più complessa nel panorama italiano.

Egli ha in mano tutti i poteri possibili ed immaginabili, e al tempo stesso non ne ha nessuno, così si potrebbe riassumere tutto il discorso. Il Presidente ha parecchi compiti da sbrigare, tutti caratterizzati dalla necessità di una controfirma per essere validi, talvolta servirà l’assenso di un ministro, talvolta quello del Presidente del Consiglio… così nel corso degli anni è stata la prassi, più che il diritto, a definirne i campi d’azione.

Attraverso questo discorso molto stringato e semplificato avrete capito che il Capo dello Stato racchiude in sé mille segreti da svelare. Il mio intento sarà quello di far luce su come siano cambiati i confini del raggio d’azione del Presidente nel corso degli anni, cercando di chiarire l’inflazionata questione Napolitano per poi soffermarmi anche sull’attuale Presidente Sergio Mattarella.

QUALI SONO I COMPITI DEL PRESIDENTE?

Su questo non staremo molto, dato che non si vuole certo fare un trattato di diritto pubblico. Ci limitiamo a riassumere un po’ la situazione. Questi i compiti a grandi linee del Capo dello Stato italiano, ripresi dagli articoli 87, 88 e 92 della Costituzione:

Art. 87: Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica.

Art. 88: Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.

Art. 92: Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri.

Compiti che toccano l’esecutivo, il legislativo ed il giudiziario, ed in realtà non sarebbero nemmeno finiti, ma facciamoci bastare un concetto: il Presidente della Repubblica, nella teoria, ha le mani un po’ ovunque, chiamato ad un lavoro a tutto tondo e talvolta sottotraccia.

IL RUOLO DEL PRESIDENTE NELLA PRASSI

Veniamo ora al nocciolo della questione: è bene capire i confini entro i quali un Presidente della Repubblica possa agire, ma per farlo non si può non guardare alla prassi. Molte cose all’interno della nostra Repubblica si sono sviluppate attraverso la stratificazione di norme consuetudinarie piuttosto che dall’applicazione ferrea della Costituzione. Tanto per fare un esempio restando in tema, il potere di concedere la grazia era conteso dal Presidente della Repubblica e dal Ministro della Giustizia, che detiene il potere di controfirma: solo la prassi ha permesso che questo potere passasse totalmente in capo al Presidente, anticipando poi in tal senso la pronuncia della Corte Costituzionale che ha potuto mettere nero su bianco lo sgrovigliamento della “discussione” normativa.

Come avrete notato, c’è molto del Presidente della Repubblica in sede di risoluzione di crisi politica: crollo del governo, scioglimento anticipato delle Camere e quant’altro. Questo è un aspetto molto importante perché in queste circostanze si delimitano i confini del Capo dello Stato rispetto agli altri poteri di governo, ed è qui il nocciolo della questione; sarà significativo affrontare questo aspetto.

PRESIDENTI DIVERSI NEL CORSO DELLA STORIA

La Presidenza della Repubblica ha vissuto parecchie fasi a seconda del palcoscenico in cui doveva agire. Chiaramente, senza stare a fare tanti giri di parole, il ruolo del Presidente sarà relegato ai lavori ordinari o meno a seconda della stabilità del sistema che lo circonda.

Ad esempio durante il periodo del Centrismo, ovvero la legislatura scaturita dalle elezioni del 1948, caratterizzata dallo strapotere parlamentare della Democrazia Cristiana, per il Capo di Stato non c’è stata molta possibilità di prendere l’iniziativa: la presidenza di Luigi Einaudi in particolare è stata molto legata all’ordinaria amministrazione. Egli è stato il primo presidente eletto secondo Costituzione, entrata in vigore appunto il primo gennaio del ’48, anche se la carica è stata ricoperta fino al 12 maggio da Enrico De Nicola, presidente provvisorio per tutto il periodo dell’Assemblea Costituente. 

Il Presidente Luigi Einaudi

Di seguito si sono avuti un po’ alti e bassi, ci sono stati infatti presidenti che hanno avuto ampio margine di manovra viste le condizioni difficili in cui stava navigando il sistema. Non si è dovuto aspettare tanto: già col nostro secondo Presidente, Giovanni Gronchi (‘55-’62), si è avuta una virata presidenziale, tanto che si ricordano governi addirittura rispondenti direttamente al Capo di Stato piuttosto che al Parlamento (governo Tambroni).
Si trattava di un periodo particolare, una transizione da una fase stabile ad una instabile per la prima volta nella storia repubblicana, in una situazione in cui i poteri presidenziali non erano ancora del tutto definiti; tale “pericolo” è potuto rientrare solamente a seguito di un nuovo compattamento delle forze partitiche. Le tensioni fra presidenza e Parlamento sembravano rientrare del tutto con Antonio Segni (’62-’64), all’apparenza vero presidente “notarile”; tuttavia la pur breve storia del Presidente Segni è avvolta da un alone di mistero. 
Egli pare stesse infatti escogitando, pilotato dal Generale di Carabinieri De Lorenzo, il “Piano Solo“, ovvero una sorta di concessione di poteri speciali d’emergenza ai Carabinieri (solo a loro, a questo si riferirebbe il nome del piano), al fine di trasferire – o meglio mandare al confino – 731 fra politici e simpatizzanti di sinistra presso la base NATO in Sardegna. Il Capo dello Stato è però costretto alle dimissioni anticipate per via di una trombosi celebrale, per poi morire 10 anni dopo portandosi nella tomba i segreti di questo fallito colpo di Stato, su cui gli storici tutt’oggi non concordano rispetto al ruolo effettivamente esercitato da Segni.
È con Giuseppe Saragat che effettivamente le cose rientreranno nell’ordinaria prassi e le istituzioni torneranno ad avere un certa armonia fra loro.
In seguito Giovanni Leone, costretto a dimettersi dopo poco tempo, traghetta la presidenza nell’era mediatica, interpretata dal celeberrimo Sandro Pertini (’78-’85), il primo Presidente capace di instaurare un rapporto diretto con l’opinione pubblica attraverso un vero e proprio dialogo costante rivolto alla popolazione. La sua fu una presidenza spesso legata ai lavori ordinari, sì, ma senza farsi mancare atteggiamenti innovativi e scelte coraggiose, come la nomina di alcuni ministri di propria proposta (il P.d.R. è di norma chiamato dalla Costituzione a nominare i ministri su proposta del Presidente del Consiglio) e la nomina del primo Presidente del Consiglio non democristiano, ovvero Giovanni Spadolini.

Sandro Pertini in occasione della vittoria dei Mondiali di calcio del 1982

Si passa poi a Francesco Cossiga, che cerca di promuovere riforme istituzionali a seguito della crisi del pentapartito, per poi giungere a Oscar Luigi Scalfaro (’92-’99), vero traghettatore delle istituzioni nel periodo del crollo della Prima Repubblica. Non cederà mai alla richieste delle forze politiche e anzi dopo la caduta del governo Berlusconi I (1994), nominerà il governo tecnico Dini, dopo il quale finalmente le funzioni presidenziali rientreranno nella prassi.

Il Presidente Oscar Luigi Scalfaro

E si arriva alla Seconda Repubblica, si arriva ai giorni nostri: Ciampi, Napolitano e Mattarella ci riguardano da vicino e rappresentano tre volti di una stessa realtà, ma lo vedremo più avanti. Avrete capito bene però come il ruolo del Presidente della Repubblica si sia trasformato nel corso del tempo e come i suoi compiti siano variati via via attraverso gli anni.

ELEZIONI, CRISI PARLAMENTARE E DI GOVERNO – Come agisce il Presidente tra Prima e Seconda Repubblica

Un aspetto chiave da sottolineare, si diceva, è come agisca il Presidente della Repubblica in sede di nomina di esecutivi dopo le elezioni, crisi di governo e crisi parlamentari.
Nel corso della cosiddetta Prima Repubblica (1948 – 1993 compreso) il sistema partitico ed elettorale influenzavano molto la nascita e la caduta dei governi, e di conseguenza il Capo dello Stato era chiamato ad adeguarsi a tali meccanismi. A seguito delle elezioni vi erano sì le consultazioni come ci sono oggi, ma avevano una valenza diversa poiché erano i leader dei partiti della maggioranza e delle correnti a designare Capo e componenti del Governo, lasciando al Presidente di fatto solo la facoltà di ratifica; questo non solo dopo le elezioni ma anche a seguito delle numerosissime crisi istituzionali, salvo i casi che abbiamo un po’ visto.
La Seconda Repubblica (1994 – oggi) è stata invece caratterizzata da governi mediamente molto più lunghi e saldi per via del grande mutamento elettorale e del sistema dei vecchi partiti, che dopo Tangentopoli e le altre vicissitudini hanno lasciato spazio ad attori molto meno incisivi ma al tempo spesso, attenzione è importante, distribuiti in una struttura bipolarizzata e competitiva. Le elezioni hanno quasi sempre prodotto una chiarissima fazione vincitrice, permettendo al Presidente della Repubblica di poter nominare quasi direttamente il leader della lista vittoriosa (quando Berlusconi, quando Prodi). In caso di crolli di governo e altri squilibri è stata però finalmente vitale l’entrata in gioco del Presidente in maniera attiva. È con la Seconda Repubblica che il Presidente ottiene la piena potestà nella risoluzione degli intoppi istituzionali. Abbiamo la possibilità di osservarlo nel dettaglio con Giorgio Napolitano, Sergio Mattarella e la contemporanea legislatura traballante, quella che ha creato non pochi problemi al sistema politico italiano.    

CIAMPI, NAPOLITANO E MATTARELLA – I Capi di Stato della Seconda Repubblica

Col consolidamento della cosiddetta Seconda Repubblica, il Presidente Carlo Azeglio Ciampi ha potuto “rilassarsi”: non c’erano quegli evidenti casi di crisi istituzionale che invece avevano caratterizzato le precedenti presidenze. Tuttavia Ciampi ha saputo divenire unico nel suo genere grazie ad un atteggiamento sempre imparziale e senza riguardi nei confronti dei partiti durante le proprie esternazioni: non è mai ceduto sotto le pressioni di alcuna forza politica, riuscendo ad ergersi come vera figura imparziale ed estremamente rigorosa, votata al riconsolidamento delle istituzioni più alte del Paese. È divenuto talmente rispettato che su di lui si profilava la possibilità della rielezione alla fine del settennato, sarebbe stato il primo caso nella storia italiana, eventualità messa a tacere dallo stesso Ciampi. 

Come si suol dire, morto un Papa se ne fa un altro, e allora eccoci giunti ad un punto delicatissimo: la presidenza di Giorgio Napolitano. Su di lui se ne sono dette tante e se ne continuano a dire ancora tante. C’è da mettere subito in chiaro che la sua presidenza è stata una delle più complicate da gestire della storia repubblicana: uno scioglimento delle camere nel 2008 a seguito della caduta del governo Prodi, una ancor più grave crisi di governo accompagnata dalla forse più grande crisi economico/finanziaria della modernità nel 2011, la scelta difficile fra le elezioni anticipate per la seconda volta in 3 anni ed il governo tecnico (come poi è stato, con Mario Monti), la gestione dello scenario di ingovernabilità del 2013 e la propria rielezione, sempre nel 2013, di fronte ad un parco di partiti incapaci di convergere su un nome comune. Una fase densissima di ostacoli che hanno dato il là ad una nuova gestione all’insegna del presidenzialismo. Uno dei motivi principali per cui si attacca Giorgio Napolitano è proprio l’ignoranza che accompagna la figura stessa del Capo dello Stato, ormai penso di esser stato abbastanza chiaro su questo: credere che esso sia solo un simbolo non permette di coglierne i compiti in casi di emergenza; non ha inciso positivamente nemmeno il fatto che la difficile scelta nel 2011 di nominare il governo tecnico Monti abbia prodotto grande scontento nella popolazione per via delle rigorosissime manovre finanziarie come la famosa legge Fornero, e questo si può pure capire. 

Giorgio Napolitano stringe la mano a Mario Monti

Forse però il colpo di grazia alla considerazione di Napolitano agli occhi della gente comune è arrivata a seguito della difficile questione delle elezioni 2013, quando proprio il Presidente della Repubblica è stato dipinto come una sorta di traditore degli Italiani per non aver nominato un governo 5 Stelle, primo partito, sì, ma forza al 25% alla Camera e 23% al Senato che si rifiutava di fare alleanze, con intanto la coalizione di Bersani che riusciva ad ottenere la maggioranza quantomeno alla Camera: una situazione quasi imbarazzante insomma, e non mi spingo oltre, ci sarebbero molte altre cose da precisare.
La questione non si è conclusa certo qui, perchè a destare grande scompiglio è stata poi la nomina del governo Letta, accompagnata dal tormentone
“chi l’ha eletto?”, così come per i suoi due successori, Renzi e Gentiloni. Parte della comunità non ha preso bene infatti che dopo anni in cui siamo stati abituati a governi scaturiti da un netto risultato elettorale – il che non significa eletti dal popolo! – il Presidente della Repubblica abbia dovuto prendere tali decisioni di fronte allo stallo istituzionale e all’ingovernabilità. Non si riesce a capire o non si ha memoria del fatto che il primo compito del Capo dello Stato secondo la Costituzione in queste occasioni sia riscontrare la presenza di una maggioranza in Parlamento e, in tal caso, nominare un nuovo governo che la rispecchi, altrimenti solo in casi estremi sciogliere una o entrambe le camere.
Tale maggioranza evidentemente c’è stata, dato che ormai si può dare per assodato che quella stessa legislatura, caratterizzata anche dal quarto governo più longevo di sempre, quello Renzi, si chiuderà solo alla sua scadenza naturale nel 2018 (salvo sorprese dell’ultimo minuto!).

Un’altra cosa è importante da sottolineare: la rielezione del 2013 è stata vista come l’estremo abuso di potere dell’attuale Presidente Emerito, un affronto alla Costituzione, quando in realtà la nostra carta fondamentale non chiarisce – e dunque non limita – il numero dei mandati effettuabili da un Capo di Stato.

La presidenza Napolitano è dunque una questione oggi ancora aperta, ma si può capire bene come l’estrema complessità dell’istituzione dovrebbe invitare a comprendere la situazione piuttosto che liquidarla col nomignolo dispregiativo “Re Giorgio”, come si è divertito a fare qualcuno.

Certo è che con Sergio Mattarella tutto sembrava tornare nella norma: Napolitano aveva dato una grande spinta alla riforma delle istituzioni per permettere al sistema di darsi un definitivo assetto “alleggerito” e competitivo che sembrava volgere per il meglio tanto quanto la legge elettorale Italicum. Chiaramente in questa situazione Mattarella poteva limitarsi alla prassi senza doversi esporre più di tanto, ed ecco che questo atteggiamento gli è valso una serie di definizioni diametralmente opposte al sopra citato “Re Giorgio”, sottolineando la sua mancanza di sostanza, di pugno duro. Della serie: non va mai bene niente.

L’attuale Capo di Stato Sergio Mattarella

Col fallimento del referendum del 4 dicembre 2016 però Mattarella è potuto venir fuori per quel che è davvero: sobrio, pacato, silenzioso, ma dotato di una fermezza non indifferente, non ha ceduto infatti alle pressioni partitiche che chiedevano di andare ad elezioni anticipate quando in realtà il governo non aveva mai perso la fiducia del Parlamento, esisteva anzi  una maggioranza nemmeno troppo risicata ed è stato compito del Presidente appurarlo e nominare Gentiloni Presidente del Consiglio. In seguito le pressioni sono arrivate da Matteo Renzi che apprestandosi a tornare in corsa pensava forse di poter influenzare il Capo di Stato, memore dell’alta considerazione datagli dallo stesso in sede di consultazioni; anche in questo caso, però, Mattarella non si è lasciato intimorire, dimostrando di poter interpretare il proprio ruolo con fermezza e sobrietà. Un presidente destinato a lavorare sottotraccia ma con imparzialità. Vedremo poi cosa ci riserveranno le elezioni del 2018, se un nuovo “Re Sergio” oppure un risultato che permetta a Mattarella di limitarsi all’ordinaria amministrazione.  

di Stefano Ciapini