Studente presso la facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, scrittore per il Prosperous Network. Fra fumetti, tecnologia e libri mi appassiono alla politica nostrana.

Di Gentiloni si è detto tutto senza sapere niente, un’operazione che si è portati a fare, in generale, con qualsiasi personalità di spicco: la si dipinge come la nostra mente vuole che sia, e nelle settimane successive al referendum la nostra mente ha voluto che egli fosse il burattino di Renzi. Forse però questa volta abbiamo fatto cilecca in maniera grossolana, poiché Paolo Gentiloni Silveri si sta rivelando qualcosa di diverso. E ad osservare il suo albero genealogico forse ce ne saremmo dovuti accorgere molto prima: di nobil famiglia, è discendente di uno dei più astuti personaggi della tarda età liberale, Ottorino Gentiloni, capo dell’Unione Elettorale Cattolica Italiana (UECI), proprio colui che diede del filo da torcere alla tenuta del quarto governo Giolitti col cosiddetto Patto Gentiloni. Buon sangue non mente, si direbbe: a distanza di 103 anni Paolo Gentiloni diviene Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana, lo fa in sordina, ma si farà sentire.

Scatto della squadra di governo assieme a Mattarella dopo il giuramento

Le opposizioni dicevano che il suo governo non sarebbe stato altro che una luogotenenza del governo Renzi, ed il premier uscente replicava sì, ma timidamente, ringraziando Gentiloni per l’impegno preso quasi a trovarvi comunque qualcosa di più di un semplice passaggio di testimone. L’ironia della sorte ha voluto che si facesse ancora riferimento all’età liberale dello zio Gentiloni, quando Giolitti indicava al Re un successore da porre alla guida del governo durante le sue fasi di stallo; il nostro Gentiloni però sembra aver capito che la storia, se si vuole, può non essere ciclica, e che un luogotenente può trasformarsi in premier. Ripercorriamo insieme le tappe di come il signor nessuno si sia pian piano fatto strada fino a ritagliarsi il proprio spazio.

Il rituale passaggio della campanella

12 dicembre 2016: l’inizio dell’avventura

Della nomina di Paolo Gentiloni a Presidente del Consiglio si è già parlato, si potrebbe aggiungere che l’incarico datogli da Mattarella sia stato piuttosto pesante, poiché l’impegno è stato quello di disincantare l’opinione pubblica dalle apparenti sicurezze di un governo duraturo come quello Renzi, oltre che la gestione delle opposizioni sollevatesi a seguito del referendum, per poi dirigersi verso la risoluzione di tematiche scottanti come la legge elettorale e la diatriba con l’Europa sulla legge di bilancio. Inutile ricordare ancora che un legame forte con Renzi ci sia stato eccome, lo dimostra anche il fatto che lo stesso Gentiloni rivendicasse, in un primo momento, la continuità col precedente governo: avanti tutta con le riforme ed il cammino introdotti da Renzi. Le nomine dei ministri sembravano confermare la simbiosi, solo un dicastero non confermato, ovvero la Giannini all’istruzione che lasciava il passo a Valeria Fedeli, uno spostamento di Alfano agli esteri per poter inserire Minniti all’interno ed infine l’introduzione di Lotti. Per non parlare dei sottosegretari, 41, praticamente tutte conferme tranne una; chiaramente i titoli sui giornali si sono sprecati. Il governo è entrato in carica il 12 dicembre scorso, per poi ricevere la fiducia il giorno seguente alla camera con 368 voti favorevoli; il 14 dicembre l’ha invece ricevuta al senato con 169 favorevoli. Non sono state larghissime maggioranze, in special modo al senato, ma ciò è bastato per far partire i lavori. In realtà questa concomitanza dei gabinetti Renzi-Gentiloni andrebbe analizzata nel suo contesto, perché sarebbe troppo facile mettere in croce il presidente del consiglio per una eccessiva somiglianza al governo precedente: probabilmente l’intento è stato proprio quello di sottolineare che i lavori intrapresi negli ultimi tre anni non andavano affievolendosi, stavano solo cambiando guida.

Prove di presidenza

Nel primissimo periodo di governo i contatti col segretario di partito si sono mantenuti costanti e si è adottata una linea temporeggiatrice, sicuramente per non creare agitazione nei mercati e per non scombussolare ancor di più lo scenario politico. Il “terzo governo non eletto” dicevano intanto le opposizioni, cercando di confondere le acque. Forse però le vere miccie dovevano ancora essere accese: si è cominciato a ballare davvero quando è stato reso noto il curriculum del nuovo ministro all’istruzione Valeria Fedeli, nel quale si riportava chiaro e tondo il conseguimento di una laurea in realtà mai ottenuta (o meglio, si trattava di un diploma convertibile in laurea di cui la ministra però non si era mai preoccupata). Il ruolo delle opposizioni sembra, almeno in Italia, essere esclusivamente quello di fare sciacallaggio sulle gaffe della maggioranza, ed anche stavolta il compito è stato svolto magistralmente. In tale situazione non si è avuto un duro scontro fra Gentiloni e gli avversari, cosa che sarebbe stata nelle corde di Renzi, pare quasi anzi che il premier abbia voluto lasciar esprimere la Fedeli per poi far sì che le polemiche giungessero fisiologicamente al termine, senza rinfocolarle. Qualcuno, abituato agli interpreti di questa nostra seconda Repubblica, insinua che Paolo Gentiloni sia un presidente del consiglio privo di carattere, qualcun altro ribatte sostenendo invece che sia un personaggio che sa quando è il momento di tacere.

Il Gentiloni a lavoro (gennaio-febbraio)

I temi scottanti sono parecchi, e la politica interna è quella che più risalta nell’agenda di governo durante il mese di gennaio: c’è il varo del decreto Milleproroghe, che porterà allo scontento di alcune categorie; c’è l’emergenza neve e post terremoto, affrontata con prontezza dai servizi di protezione civile e forze armate; c’è da chiudere il discorso sui decreti attuativi delle Unioni Civili e ci sono le modifiche da apportare alla Buona Scuola (approvate definitivamente qualche giorno fa): tutte cose che il governo affronta senza dover poi mostrare necessariamente in pompa magna alcun risultato. Fra l’altro l’11 gennaio il premier è costretto a sottoporsi ad un intervento di angioplastica a seguito di un malore di ritorno dalla Francia, fortunatamente conclusosi per il meglio. A proposito di affari esteri, proprio a gennaio cominciano le sue visite istituzionali (la prima, appunto, in Francia), e proprio in questo frangente comincia a svilupparsi un Gentiloni tutto nuovo.

Gentiloni in visita a Theresa May

Nel febbraio c’è l’incontro con Theresa May ed è tutt’altro che scontato il fatto che il premier dichiari: “il negoziato sia amichevole e costruttivo”; il segnale dato è quello che l’Italia in politica estera non si porrà in un clima di chiusura ma di amicizia, sentimento dimostrato non da tutti nei confronti della Gran Bretagna. Il febbraio continua con una rottura degli equilibri, nel momento in cui 40 senatori del Partito Democratico si dichiarano a favore della conclusione naturale del governo al termine della legislatura: non è ciò che la segreteria in realtà si aspetta. A coronare questo mese c’è poi una mossa tanto criticata dal popolo quanto necessaria: il fondo salva risparmio da 20 miliardi di euro, di cui beneficia subito Monte dei Paschi di Siena, che diviene di fatto una banca sotto l’egida Stato.

Un nuovo atteggiamento internazionale

Se il governo Renzi aveva lasciato in eredità un ultimo periodo burrascoso in ambito internazionale, con parole di ammonimento ed endorsement dispensati ai leader occidentali fra novembre e dicembre, tocca a Gentiloni ricucire la tela laddove si fosse sbranata. È stato lui ad incontrare Theresa May nell’imminenza dell’attivazione dell’art.50, come si diceva, ed è stato lui a dover anche intrattenere i rapporti con la Merkel e le gerarchie europee dopo il braccio di ferro renziano; è infine toccato ancora a lui ridefinire precisamente il ruolo che l’Italia deve ricoprire sullo scacchiere internazionale di fronte ad una situazione internazionale squilibrata dall’operato di Donald Trump: bisogna essere pacieri, sì, ma senza illudere nessuno di un eccessivo avvicinamento a Putin, accostandosi ancor di più anzi ad una NATO che si riconsolida. Tre sono i fatti importanti: le parole alla May, la questione Putin di febbraio e quelle recenti su Trump. Se delle parole al primo ministro britannico si è parlato, è importante invece sottolineare il mancato invito di Putin al G7 di Taormina, un’azione che ha suscitato qualche sorpresa, quando in realtà si è trattato di un gesto capibile: non ci si spinge troppo oltre nel nostro ruolo di intermediari, si preferisce invece dialogare alternativamente con gli uni e poi con gli altri. L’Italia fa parte della NATO, ribadisce Gentiloni, e sembra confermarlo quando, a seguito del lancio dei 59 missili USA in Siria, è tra i primi capi di governo ad esprimere fermo appoggio agli Stati Uniti, sempre mantenendo tutta la sua sobrietà. Il messaggio che passa non deve essere una chiusura alla Russia in totale favore degli Stati Uniti però, anzi. Le parole di Gentiloni vanno racchiuse all’interno di un lavoro di squadra che include senza dubbio il Presidente della Repubblica ed il Ministro degli esteri. Quest’ultimo, Angelino Alfano, non si sbilancia più di tanto e dispensa parole amichevoli per entrambi i paesi, seppur manifestando alcune riserve per la Russia; Sergio Mattarella, invece, all’incontro al Cremlino sottolinea l’amicizia fra i due paesi ed invita caldamente Vladimir Putin alla collaborazione con l’Occidente o almeno con l’Italia, la quale secondo il presidente russo rappresenta “da tempo un partner affidabile” e aggiunge “Speriamo che tutte le difficoltà e le incomprensioni verranno superate e noi otterremo una collaborazione positiva”.
Di fronte ad un rinnovato vento di tensione internazionale l’atteggiamento delle istituzioni italiane è quello di dialogare parallelamente con entrambe le potenze senza per questo dover disattendere ai compiti che attendono l’Italia. Temporeggiare, riflettere e dialogare sembrano essere dunque i tratti caratteristici di Gentiloni così come degli altri interpreti di questo “nuovo” governo.

Divorzio in casa: obiettivo 2018

Il vero punto di rottura però, è come il traghettatore si sia trasformato nel personaggio politico capace di far reggere governo e parlamento fino alla naturale conclusione della legislatura. Forse non doveva andare così, e diverse fonti lo sottolineano, riportando le parole di Renzi che invece sembra vedere di buon occhio addirittura le elezioni anticipate. Dal Quirinale Sergio Mattarella fa sapere che non c’è dubbio alcuno: nell’agenda del Capo di Stato non è previsto lo scioglimento anticipato delle camere. Gentiloni invece, proprio rimarcando ancora il fatto che le riforme portate avanti sono pensate in continuità con quelle di Renzi, non cede alla provocazione dell’ex premier che attacca: “La legge elettorale ce la scordiamo, ma c’è anche un problema per la maggioranza di governo. Cosa fa Gentiloni, come pensa di andare avanti?”. La critica poi si muove anche verso Pier Carlo Padoan, ma anche qui trova poche risposte. È così che Gentiloni si supera, non cedendo alla provocazione, in maniera da far risultare sterile qualsiasi critica. Passano infatti 48 ore e la rettifica dei vertici PD e dell’ex segretario non si fanno attendere: vi è pieno sostegno all’esecutivo Gentiloni. E laddove tutti i leader nell’indice di gradimento sembrano perdere punti, egli ne acquista assieme al ministro di sua nomina Marco Minniti: è il premier che tace, è il premier che piace.