Si è appena conclusa una delle settimane più concitate nella storia della “piccola” Olanda, un Paese che conta poco più di 16 milioni di abitanti balzato agli onori della cronaca internazionale per due fatti importanti: le elezioni parlamentari e la crisi diplomatica con la Turchia.
Prima di procedere, tuttavia, è necessario un breve excursus nel frastagliato e complesso sistema politico dei Paesi Bassi, che ha visto sfidarsi quasi 30 fra partiti e partitini per aggiudicarsi almeno uno dei 150 seggi presenti in Parlamento. Il sistema vigente è un proporzionale puro a circoscrizione unica nazionale, dove basta anche l’1% dei voti per avere un seggio. Da questo si dovrebbe intuire facilmente che le elezioni non consegnano mai un governo “finito” al Paese, ma che anzi esse aprono la strada ad una lunga fase di accordi e consultazioni tra i vari partiti per dare vita a governi di coalizione che raggiungano la maggioranza richiesta di 76 seggi. Una volta formato l’esecutivo, i membri dovranno prestare giuramento di fronte al sovrano. (I Paesi Bassi sono una Monarchia Parlamentare, ndr.)
Ora che avete gli strumenti giusti, passiamo ai fatti.
Il “puzzle” elettorale
Il risultato elettorale di giovedì scorso si è discostato abbastanza da quello pronosticato dai sondaggi, soprattutto per quanto riguarda il partito vincente: il VVD, Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, di stampo liberale ed europeista e principale forza di centrodestra nel Paese. I sondaggi davano il partito del presidente uscente Mark Rutte, che è stato dunque rieletto, intorno ai 24 seggi. Quelli effettivi sono stati invece ben 33, a discapito del partito più temuto dall’opinione pubblica: il PVV di Geert Wilders, il partito populista, xenofobo, islamofobo e anti–europeista che stava progressivamente guadagnando consensi settimana dopo settimana, che si è fermato a quota 20. Dietro troviamo il CDA (Appello Cristiano Democratico) e i social-democratici di D66, assestati sui 19 seggi. Questi ultimi sono i due partiti che più probabilmente andranno a formare la nuova coalizione di centrodestra insieme al VVD, che fino ad ora aveva governato grazie all’appoggio dei Laburisti, veri sconfitti di queste elezioni.
Il partito di Asscher, infatti, ha perso ben 29 dei 38 seggi conquistati nel 2012, che avevano permesso al PvdA di allearsi al governo con Rutte in una coalizione più di centro-sinistra. Ora i Laburisti verranno, con tutta probabilità, esclusi dai giochi. Il leader ha parlato di “tonfo inatteso”, mentre il loro presidente Spekman dovrà affrontare un voto di sfiducia.
Altra sorpresa di queste elezioni il trionfo di GroenLinks, il partito dei Verdi guidato dal carismatico leader Jesse Klaver, già ribattezzato “il Trudeau Olandese”, di padre marocchino e di madre metà olandese e metà indonesiana (indonesiana è anche la madre di Wilders, ndr.). I GroenLinks hanno infatti triplicato i consensi dalle scorse elezioni, affermandosi come forza capace di convincere i numerosi indecisi dell’ultimo momento.
E, ultimo ma non ultimo, si è guadagnato il proprio spazio in Parlamento anche il neonato partito anti-razzista Denk (“Pensa”), fondato da – ironia della sorte – due turco-olandesi. Ironico sì, perché proprio con la Turchia si è scatenata una grave crisi diplomatica nei giorni “caldi” della campagna elettorale.
La crisi con la Turchia
La vicenda si inserisce nel più ampio contesto del referendum del 16 aprile, che potrebbe trasformare la Turchia in repubblica presidenziale consegnando ancora più potere nelle mani del suo controverso leader Erdoğan.
Pur essendo vietato dalla legge turca, il Presidente ha infatti avviato una vivace campagna elettorale per i concittadini residenti all’estero, che nella sola Olanda sono ben 400.000. La sua battaglia politica si è spostata dunque nell’Unione Europea, influenzandone le dinamiche interne.
I ministri inviati da Ankara a promuovere il Sì all’estero hanno incontrato disordini e manifestazioni, in particolare quello degli Esteri Çavuşoğlu, al quale è stato impedito di atterrare a Rotterdam per un comizio dallo stesso governo dell’Aja.
Questo gesto ha scatenato la dura replica di Erdoğan, che ha definito senza mezzi termini gli olandesi “fascisti eredi dei nazisti”, minacciando di bloccare tutti i voli provenienti dai Paesi Bassi diretti in Turchia.
La rottura, che ha tutta l’aria di una propaganda pro-Erdoğan contro la “cattiva” UE, ha però rischiato di influenzare fortemente le stesse elezioni olandesi.
Sì, perché dopo l’elezione di Trump, la Brexit e Marion LePen forte nei sondaggi in Francia, l’ondata di populismo ed euroscetticismo rischiava per la prima volta di affermarsi politicamente dopo un voto anche in Europa. Paura alimentata da questa crisi diplomatica e dai conseguenti disordini causati dai turchi residenti, che sembravano dover regalare consensi all’islamofobo Wilders.
L’ombra del populismo
I pronostici sono stati disattesi, un po’ grazie anche alla dura presa di posizione del rieletto Rutte, ancora in carica all’epoca dei fatti.
Un generale sospiro di sollievo è stato tirato in tutta Europa dopo gli exit poll: da Juncker a Hollande, dalla Merkel a Gentiloni; i leader e le figure istituzionali di tutt’Europa si sono congratulati con Rutte e hanno applaudito alla “sconfitta del populismo”. Lo stesso Rutte ha parlato di “festa della democrazia”, riferendosi alla straordinaria affluenza alle urne dell’82% degli aventi diritto.
Insomma la paura di avere il PVV come primo partito e di dover scendere a patti con Wilders è stata fugata, e il primo cruciale appuntamento elettorale archiviato.
Ma possiamo dirci completamente liberi dall’ombra del populismo? Ciò che resta è un’Europa timida, ancora debole e disunita di fronte a chi fa la voce grossa.
Un populismo sconfitto in Olanda oggi potrebbe tornare in Francia o in Germania domani, e si ricomincerebbe da capo.
La politica Europea ha sempre più l’aspetto di una corsa ad ostacoli: si spera di saltare quello che si sta avvicinando, e appena lo si è superato si tira un sospiro di sollievo prima di affrontare il successivo. Uno alla volta, sperando di non cadere.
Finché non si inizierà ad avere una visuale ad ampio raggio e a lungo termine, il populista di turno sarà sempre pronto a sfruttare le divisioni della politica, quella vera. L’Unione Europea va cambiata? Perfetto. Uniamoci e cambiamola.
O sarà sempre attaccabile da chi preferisce buttare all’aria 60 anni di storia, pace ed unità per tornare indietro, e il populismo sarà una minaccia reale.
Per citare il tweet dello stesso Wilders “abbiamo guadagnato seggi, il primo obiettivo è raggiunto. E Rutte non si è sbarazzato di me”.