Nata a Gubbio, ora studentessa di Scienze Politiche presso l'Università degli studi di Perugia. Amo la fotografia, i libri, la musica e la politica. Una ne faccio, cento ne penso.

Per conoscere la storia della Destra italiana e comprenderne l’odierna crisi, è impossibile non parlare di quello che è stato il maggiore partito italiano per quasi 50 anni, protagonista della scena politica dal secondo dopoguerra fino al suo scioglimento, avvenuto nel 1994.

Il partito in questione è chiaramente la DC (Democrazia Cristiana).

Esso si è sempre caratterizzato come un variopinto calderone in cui si trovavano mescolate le correnti più eterogenee: dai democratici di sinistra, ai centristi cattolici fino ai moderati liberali di centro-destra. Questa situazione era dovuta sia all’ideale cattolico dell’unione inter-classe (la DC discendeva dal Partito Popolare di Don Sturzo, sciolto nel 1928 ndr.), sia soprattutto all’esigenza di riparare ferite e scissioni che la guerra lasciava dietro di sé.

Parte della Destra giocava però un ruolo da outsider: infatti, la componente nazionalista e protezionista incarnata dal MSI (Movimento Sociale Italiano), in campo fin dal 1946, era oggetto della tacita conventio ad excludendum che lo escludeva da ogni Governo insieme al PCI. Questo per difendere la neonata Repubblica da nuovi rischi autoritari.

Insomma la situazione pareva quella di un eterno “compromesso” fra centro-sinistra e centro-destra destinato a durare per chissà quanto.

Fino al 1992.

LA NASCITA DELLA COALIZIONE

Il 1992 cambiò le carte in tavola. L’anno dell’inchiesta “Mani Pulite”, ribattezzata Tangentopoli, scoperchiò un enorme e radicato sistema di corruzione ad ogni livello. Caddero i vertici, la DC perse consensi, e non fu sufficiente cambiare il nome in PPI (Partito Popolare Italiano). Ciò che restava della DC fu sciolto definitivamente nel 1994, quando l’assetto politico Italiano era già in profonda rivoluzione.

Mentre gli ex-DC di sinistra confluivano nell’Ulivo e i centristi nel neonato CCD di Casini, nella Destra c’era fermento.

Nel 1991 era infatti nata la Lega Nord, movimento indipendentista che raccolse parecchi voti dei settentrionali “delusi” dalla mala-gestione della cosa pubblica.

Ma la novità vera era rappresentata da un homo novus della politica, sceso in campo per “unire i cittadini moderati e difendere i valori di libertà, giustizia e solidarietà”. E’ l’imprenditore milanese Silvio Berlusconi, già magnate nei settori immobiliare, televisivo e calcistico. Con il suo partito, Forza Italia (FI), era intenzionato a soddisfare le richieste di un mercato sempre più globalizzato e liberale, donando al Bel Paese una “seconda modernizzazione”.

Era il 1994, e il centro-destra con a capo Berlusconi si univa e si tratteggiava così come lo conosciamo oggi. Nella coalizione chiamata “Polo delle libertà” prima, “Casa delle libertà” poi, confluirono anche i centristi di Casini, Lega Nord e la neonata Allenza Nazionale di Fini (ex MSI).

Sebbene sussistessero tutte le disomogeneità ideologiche tra i suoi partiti, la coalizione di centro-destra rimase salda per quasi vent’anni. Berlusconi ha saputo mostrare la sua coalizione come unica rappresentanza di quei cittadini moderati e liberali che non si riconoscevano nelle politiche del centro-sinistra, garantendo, di fatto, un bipolarismo alternato in Italia. La presenza di forze nazionaliste nella coalizione era dunque “attenuata” dall’inferiorità di seggi e consensi rispetto a quelle moderate, e il ruolo capofila di Forza Italia non fu mai messo in discussione. Fino al 2011.

L’ODIERNA CRISI

Il 2011 fu un anno di profonda crisi per la politica italiana: l’allora Presidente del Consiglio Berlusconi fu coinvolto in numerose inchieste che andavano dalla corruzione, alla frode fiscale fino alle accuse di favoreggiamento della prostituzione. Fu perciò costretto a dimettersi, anche per effetto di forti pressioni da alcuni leader europei, lasciando il posto al governo tecnico Monti. Le sue dimissioni portarono molta gente nelle piazze a festeggiare: si parlò di “fine di un’era”.

Questi avvenimenti, uniti al malcontento per la recente crisi economica e all’ascesa del M5S, provocarono un forte calo dei consensi alla coalizione di centro-destra, che si manifestò in occasione delle elezioni politiche nel 2013. Berlusconi era, di fatto, l’unico collante che teneva unite forze tanto eterogenee; la sua caduta provocò una frammentazione nel centro-destra ancora oggi insanata, facilitò la divergenza del suo vecchio elettorato moderato e liberale verso quell’area progressista di centro-sinistra incarnata dal PD di Matteo Renzi, allora in piena ascesa e, soprattutto, lasciò campo libero a quella parte della coalizione che per tutti quegli anni aveva fatto da co-protagonista: la Destra nazionalista.

Il nuovo segretario di Lega Nord Matteo Salvini ha operato, infatti, una ben riuscita operazione di “rottamazione” ai danni dello storico leader Bossi e di rigetto dell’etica scissionista in favore di un volto nazional-popolare per il partito. Insomma, in pochi anni la Lega Nord ha fatto dimenticare ai meridionali tutte le frasi ingiuriose che i vertici del partito rivolgevano loro fino al giorno prima, guadagnandosi un consenso su scala nazionale che oggi tocca vette del 16%.

Insieme a FDI (Fratelli d’Italia), il partito di Giorgia Meloni, le destre populiste si sono aggiudicate una larga fetta del consenso verso la coalizione di centro-destra. Le cause possono essere ritrovate nella crisi economica, nella ripresa che va a rilento, o ancora in tutte le emergenze non dovute alla politica ma che hanno aumentato sempre di più la sfiducia ed il disinteresse degli italiani verso di essa, in favore di quei populismi che dicono loro quello che vorrebbero sentirsi dire, offrendo capri espiatori invece di soluzioni. E Berlusconi ne dovette prendere atto.

Nel 2015, l’accordo di Forza Italia con Lega e Fratelli d’Italia, difatto in alleanza politica, è la prova del declino del sogno di un centro-destra moderato e liberale.

Oggi, dire “Destra” equivale a dire protezionismo, euroscetticismo e populismo, in Italia come nel resto d’Europa. Quel sistema bipolare che garantiva una certa governabilità è visibilmente mutato, in favore di un tripolarismo e di una frammentazione partitica come non si vedeva dai tempi del penta-partito. Le forze liberali e moderate si sono ritrovate improvvisamente orfane di una rappresentanza forte, e la Destra è diventata ora lo specchio del malcontento comune verso quella che è la vera politica. Una Destra incapace di reggere il passo di una società che cambia, anacronisticamente convinta che l’immobilismo sia la chiave per risollevare l’Italia dai suoi problemi.