Laureato in Relazioni Internazionali presso Alma Mater Studiorum di Bologna, Studente di Strategie di Comunicazione Politica presso Università di Firenze, fondatore del Prosperous Network. Nel tempo libero abuso di Spotify.

Questo è il secondo episodio di un resoconto della storia ucraina dal 1991 al 2016, qua potete leggere la prima parte!

Il governo locale della Crimea, una delle regioni (oblast) orientali Ucraine a maggioranza russofona, rifiuta di riconoscere il maidan a Kiev.

A fronte della nuova situazione politica, viene dichiarata la volontà di separarsi dall’Ucraina, attraverso un referendum di autodeterminazione fissato il 16 Marzo.
Tra il 27 Febbraio e il 16 Marzo 2014 entrano nella penisola, attraverso la base di Sebastopoli (il cui utilizzo era stato proloungato da Yanukovyč), 25.000 soldati russi.
Il giorno del referendum 1 500 soldati sono presenti nei seggi elettorali di tutta la regione, viene inoltre reportata la presenza di urne trasparenti.

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Infografica etno-linguistica.

 

L’esito è chiaramente a favore dell’indipendenza, con il 97% a favore e l’84% di affluenza, la Crimea si autodefinisce Repubblica autonoma.
La sua validità non è riconosciuta dai Paesi dell’Unione europea, dagli Stati Uniti d’America e da altri 71 Paesi membri dell’ONU, a causa della violazione del Budapest Memorandum (vi avevo detto nella prima parte che ci saremmo tornati ndr).
Il Presidente Russo Vladimir Putin in questo discorso alla Duma afferma che la Crimea si è espressa secondo principi totalmente democratici, rivendicando le radici culturali e storiche che legano questa regione alla Russia e concludendo con la richiesta al parlamento di annessione della Crimea e della città di Sebastopoli. Il 18 Marzo la Repubblica di Crimea è integrata nella Federazione Russa come repubblica federata, mentre Sebastopoli è annessa come città federale. L’annessione non è riconosciuta dall’Ucraina che considera la penisola di Crimea parte del suo territorio temporaneamente occupato

Allo stesso tempo altre due regioni orientali, prossime alla Russia, e composte in maggioranza da popolazione russofona, diventano protagoniste di sanguinosi scontri separatisti a seguito del “colpo di stato avvenuto a Kiev”: Donetsk e Lugansk.

L’11 Maggio 2014, attraverso un referendum popolare, vengono proclamate rispettivamente la “Repubblica Popolare di Donetsk” (RPD) e la “Repubblica Popolare di Lugansk” (LPR), su richiesta ed organizzazione di gruppi indipendentisti filo-russi, che nei giorni precedenti hanno occupato molti edifici governativi nelle due regioni.

Separatisti russi
Separatisti filo-russi del Donetsk

Ma chi sono? In realtà più gruppi armati compongono i separatisti: Milizia Popolare del Donbass, Battaglione Vostok, Armata Ortodossa Russa, paramilitari ceceni, asbkazi ed osseti. Ci sono anche report di combattenti volontari da paesi europei come Spagna, Francia ed Italia. Il loro obbiettivo è l’indipendenza effettiva delle regioni del Donetsk e Lugansk, ma sono animati da motivazioni diverse.

Nel mese di Giugno, il Ministro degli Interni, Arsen Avakov e il neo-presidente Petro Oleksijovyč Porošenko danno il via ad imponenti operazioni di “anti-terrorismo” per ristabilire la situazione nelle due regioni e riprendere le città conquistate.
Porošenko intanto il  27 giugno 2014, firma un accordo di libero scambio con l’Unione europea a Bruxelles.

Nel Donetsk quindi avvengono grandi scontri armati tra i gruppi sopracitati e la Guardia Nazionale Ucraina, che comportano la distruzione di diversi piccoli centri e molte morti. I combattimenti si protraggono fino al 5 Settembre 2014, giorno in cui viene trovato un accordo sotto l’egida della OSCE a Minsk.
Rappresentanti di Ucraina, Russia, Repubblica Popolare di Doneck (RPD), e Repubblica Popolare di Lugansk (LPR) si riuniscono nella capitale della Biellorussia, firmando un cessate il fuoco secondo determinate condizioni: elezioni anticipate e decentralizzazione potere nelle due Oblast, rimozione di gruppi illegali armati (qua il testo integrale dell’accordo).

Ma l’accordo nei giorni seguenti non viene rispettato, da ambo le parti.
Il 6 Novembre infatti nelle due regioni si tengono elezioni governative e parlamentari, in violazione di Minsk secondo il Presidente dell’OSCE.
Questo evento conduce Porosenko ad ordinare bombardamenti sul Donetsk, riaprendo di fatto il conflitto tra le due fazioni.

Il 15 Febbraio 2015, sempre a Minsk, Angela Merkel, Vladimir Putin, Francois Hollande e Petro Porosenko, firmano un nuovo accordo per una tregua tra le parti sullo stampo del precedente trattato: predisposto il ritiro delle armi pesanti dalla linea del fronte e raggiunta un’intesa per attuare la legge sullo status speciale per l’Ucraina sud-orientale (qua il testo integrale dell’accordo).

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Firmatari accordo Minsk II

Essa prevede una zona cuscinetto sul fronte ucraino larga 50-70 chilometri a seconda del tipo di arma presente sul terreno, oltre al ritiro di tutte le truppe straniere dal territorio ucraino.
Tra i punti dell’accordo è anche presente l’instituzione di elezioni democratiche nelle due regioni sotto la supervisione dell’OSCE, rimandate fino al 2017.

Così annuncia Alexander Zakharchenko, governatore della RPD, il 6 Novembre 2016: “In 2017, we will hold elections under the Minsk agreements, or we will hold them independently”

Ma anche la non belligeranza di “Minsk 2” non viene rispettata.
Il 1 Settembre 2015 viene nuovamente proposto un cessato il fuoco definitivo, ovvero una applicazione concreta di Minsk 2, che mantiene il livello degli scontri basso fino al 1 Settembre 2016; giorno in cui viene nuovamente rinnovato, per la decima volta dall’inizio del conflitto, un accordo per la sospensione di ogni scontro nelle aree del Donetsk e Lugansk.
Il 2016 infatti non solo è l’anno con meno scontri e morti dall’inizio della guerra, ma è anche il primo anno in cui l’Ucraina non ha perso territori in favore delle autoproclamate RPD e LPR.
L’alba del nuovo anno, il 2017, segna però un punto di nuovo inizio nelle frizioni tra le due parti, con l’intensificazione degli scontri al confine e il bombardamento di centri abitati come la città governativa di Avdiivka, senza elettricità dal 29 Gennaio.

Secondo l’OCHA (Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari) il numero di morti documentate nel conflitto Ucraino dal 2014 al 2017 sono circa 9.800, di cui 2.300 civili (report)

Quali sono state le reazioni del mondo politico internazionale nei confronti di questo conflitto?

L’Unione Europea dal 2014 ha imposto dure sanzioni economiche ai danni della Russia a seguito dell’annessione “criminale” della Crimea (consultabili qua), e l’OSCE ha supervisionato e si pone come legittimo arbitro in ogni elezione/referendum dell’area.
Il segretario di Stato USA John Kerry nel 2014 afferma che gli eventi in Ucraina “non sembrano essere spontanei” e invita la Russia a “sconfessare pubblicamente le attività dei separatisti, sabotatori e provocatori” in una telefonata al suo omologo russo Sergej Lavrov.
L’amministrazione Obama inoltre è la prima ad imporre sanzioni sull’economia Russa (consultabili qua) a seguito della violazione del Budapest Memorandum e l’annessione della Crimea.

Nonostante molti report che affermano il contrario, la Russia nega ogni coinvolgimento formale nei conflitti; anche Igor Girkin, comandante Milizia Popolare del Donbass a Slov”jans’k, nega il coinvolgimento russo nella rivolta (qua per più report su presenza di armi russe e sistema missilistico BUK)

Per seguire report e resoconti dello scontro in corso nelle aree orientali dell’Ucraina, continuate a seguire il Prosperous Network, anche attraveso la sezione Breaking News!

articolo di Matteo Manera, immagini a cura di Historical Brain