Studente presso la facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, scrittore per il Prosperous Network. Fra fumetti, tecnologia e libri mi appassiono alla politica nostrana.

 

Uno dei tratti caratteristici della modernità è l’assenza, in Italia come in Europa, dei grandi partiti di Sinistra; da noi i partiti rossi sono morti, altrove, se sono rimasti, non hanno sicuramente vita facile, pur con qualche eccezione.

Troppo spesso si sorvola sulla questione confondendo i problemi di natura ideologica ad altre questioni più importanti, si liquida la faccenda con un “la sinistra ha perso la sua presa sulla popolazione a seguito della caduta dell’URSS” o ancora “Non ha più senso parlare di Comunismo nel mondo contemporaneo”. Tutto vero, ma tutto volto a spiegare perché certi aspetti dell’ideologia di sinistra siano risultati via via anacronistici, e non perché siano spariti grandi partiti di sinistra, quei partiti che avevano portato avanti idee economiche a favore delle fasce basse durante tutto il dopoguerra.

A questo qualcuno potrebbe rispondere che le idee economiche di sinistra, sia socialiste che comuniste, fossero idee inattuabili in un sistema capitalistico. Sì, ma non ci siamo ancora, stacchiamoci per un attimo dagli obiettivi massimalisti: per poter leggere questo articolo come si deve bisogna fare riferimento a quelle politiche che PCI e PSI hanno alternativamente portato avanti in veste non di partiti estremisti, ma di partiti perfettamente calati nel sistema repubblicano, puntelli a sinistra della DC; certo, si trattava di partiti con ideologie molto diverse, ma la logica della concertazione ha portato la sinistra italiana ad adeguarsi sempre più al sistema, a proporre manovre economiche e politiche molto attuabili e concrete.

Basti pensare, ad esempio, alle vittorie di socialisti e comunisti italiani rispettivamente con l’introduzione di un sistema pensionistico molto generoso negli anni Sessanta (quelli del centrosinistra) e la creazione di un codice sanitario nazionale di tutto rispetto nel ’78 (periodo del compromesso storico).

Adesso so che molti lettori staranno già storcendo il naso, sono consapevole di aver semplificato all’osso una questione assai delicata, ovvero il rapporto fra socialismo e comunismo italiani, ponendoli sotto lo stesso tetto della sinistra, e forse avrei dovuto fare prima di tutto una premessa: parlerò di sinistra italiana facendo riferimento sia al PCI che al PSI perché, al di là di tutto, i due partiti hanno spesso svolto un ruolo di influenza sui governi che, talvolta, non hanno potuto che accettare il compromesso coi “rossi”. Mi perdoneranno i seguaci di queste due anime.

Guardiamo più nel dettaglio il modus operandi della sinistra, senza scordare che il punto a cui si vuole arrivare è perché i grandi partiti siano scomparsi senza lasciare eredi degni delle loro gesta. Dico senza eredi perché è da creduloni pensare che il Partito Democratico sia figlio diretto del PCI o del PSI, si tratta di un calderone dove sono rientrate un’infinità di partiti ed ideologie, è innegabile; sarebbe stupido poi considerare degni di questa grande eredità tutti quei partitucoli che nascono e muoiono ogni quarto d’ora e che di “socialista” e “comunista” hanno solo il nome, per non parlare poi delle frange estremiste e violente che ancor’oggi persistono, incommentabili. Un epigono della sinistra autentica non esiste, è appurato, e bisogna osservare i metodi dei passati partiti per capire come mai dalle ceneri del vecchio sistema non sia nata una prole autentica, forte, gagliarda, che potesse guidare socialisti e comunisti.

La vocazione della sinistra è sempre stata quella di attuare manovre importanti, portare a casa risultati tangibili, tutto ciò chiaramente attraverso battaglie politiche all’ultimo respiro. Era necessario, ovviamente, avere larghi margini economici, disporre della possibilità di intervenire in economia per creare politiche a favore del proprio elettorato. Il risultato arrivava, magari snaturato, ma arrivava; avendo una certa capacità d’intervento economico si poteva pensare a misure come la Scala mobile che oggi sembrerebbero scellerate: si verrebbe presi per pazzi a pensare di poter giocare con l’inflazione per ritoccare i salari. Tuttavia ciò che oggi sembra fantascienza un tempo era realtà.

Mi spiego meglio sulla scala mobile: nel 1975 in Italia veniva introdotta l’indennità di contingenza, una soluzione caldeggiata da sindacati e partiti di sinistra, che consisteva nell’allineare i salari al mutamento dei prezzi, dunque al potere d’acquisto della Lira; ci si accordava su quale fosse un ipotetico reddito necessario per la famiglia media italiana, lo si esprimeva su base cento, e lo si andava a ritoccare ogni trimestre alla luce dell’inflazione. Ne conseguiva la possibilità di giocare sull’inflazione stessa, come si diceva poc’anzi, per creare politiche favorevoli. Questa stessa falsariga veniva seguita anche per altre mosse, e forse ora è più chiaro perché alla sinistra fosse necessaria la piena libertà d’azione in economia: senza di essa qualsiasi manovra del genere sarebbe stata impraticabile e forse sarebbe venuta meno la stessa ragion d’essere dei partiti rossi.

Evidentemente questa ragion d’essere si è persa sul serio, e la responsabilità non può risiedere semplicemente in un repentino mutamento delle ideologie della società italiana ed europea, né si può spiegare tutto grazie ad episodi contingenti come “Mani pulite”, perché altre parti politiche si sono rialzate bene da certe batoste.

La verità è, signori, che ad uccidere la sinistra sia stata l’Europa. Non mi si prenda per antieuropeista, cosa che non sono, ma piuttosto per una persona con spirito critico che vede la necessità di un cambio di rotta. Perché dico questo?

Sappiamo che la nascita dell’UE abbia posto precisi vincoli alle manovre economiche degli Stati Nazionali, e ne consegue che quei partiti che più hanno nel loro DNA il giocherellare con le misure economiche, quelli di sinistra, ne siamo usciti privati della loro stessa anima. Intendiamoci, non mi pronuncio su se sia economicamente corretto effettuare certe azioni, ma è indubbio che gli interpreti della sinistra non siano scomparsi nel nulla, quanto piuttosto che abbiano trovato di fronte a sé un muro invalicabile: i vincoli europei. E la credibilità in poco tempo è stata persa. Il vero spartiacque è stato Maastricht, con le sue regole ferree. Ricordando come una filastrocca i due punti più importanti del trattato si osserva che:

  • Il rapporto debito/PIL non debba essere superiore a 0.6
  • Il rapporto deficit/PIL non debba essere superiore a 0.03

Tradotto: i conti vanno rivisti ponendo limiti precisi alla fonte da cui solitamente si attinge per attuare politiche pubbliche, ovvero la creazione di debito. Questa parola, “debito”, oggi fa paura, suona tenebrosa, ma questo sentore è economicamente sbagliato, essendo che il debito è de facto una condizione necessaria per l’esistenza di uno stato che intervenga in economia; oltretutto non si può trovare in nessun manuale economico o di scienza delle finanze un limite massimo preciso, quantificabile, al debito di una nazione.

Certo, si parla di concetti come solvibilità e liquidità, si esprime che il debito ed il rapporto debito/pil non debbano crescere troppo velocemente, ma non si riesce a trovare un modello matematico che chiarisca quanto debba essere un ipotetico tetto massimo per il debito. Dunque si sta parlando di vincoli definiti arbitrariamente che forse andrebbero rivisti, non che manchi una certa flessibilità, ma ci si deve comunque interrogare sulla bontà di certe misure.

Qui sopra: relazione che intercorre tra il rapporto deficit/pil (primo membro dell’equazione), il tasso di crescita del pil nominale e il rapporto debito/pil.

E per di più, a volerla dire tutta, osservando la formula che esprime la sostenibilità del deficit su pil (nell’immagine), ed assumendo i valori di Maastricht, si ottiene che servirebbe una crescita del pil annuale del 3% affinché il sistema adottato possa reggere. E un pil che cresca del 3% è fantascientifico, forse ancora più fantascientifico delle mosse politiche della sinistra oggi.

In tutto questo panorama confuso, gli stati nazionali hanno perso la possibilità di agire con libertà sul piano economico, è risaputo che il principale pilastro su cui si fonda l’Unione Europea sia la politica monetaria e di mercato; alla luce di questo i partiti di sinistra, che un tempo potevano godere di grandi libertà, anche di poter contare sulla creazione di nuovo debito, hanno visto chiudersi tutte le porte. Meglio così oppure è da rimpiangere il passato?

Probabilmente la realtà sta in mezzo e si sarebbe dovuto trovare un bilanciamento tra il vecchio ed il nuovo, perché è innegabile che si senta la mancanza della sinistra anche solo in virtù di un equilibrio partitico che non esiste più. Gli altri partiti, rifugiandosi nel conservatorismo o nel “far quadrare i conti”, hanno potuto mantenersi, ma si tratta di un lusso che le forze di sinistra si son permesse col solo risultato di perdere la credibilità, e lo stesso epilogo è toccato a tutti coloro avessero in mente –o promettessero furbescamente- azioni economiche virtuose.

Non si vuole né santificare la sinistra, che di sviste e passi falsi ne ha fatti tanti, né si vuole demonizzare l’Unione Europea a priori. Probabilmente però c’è stato qualcosa che non è andato, al di là della retorica, e va cercato, perché non è possibile che nel giro di pochissimi anni la popolazione abbia perso la voglia di comunismo e socialismo, un sentimento sempre radicatissimo in Italia. Non si può nemmeno estendere un discorso troppo riduttivo a tutti i movimenti progressisti e di sinistra europei, come se di colpo tutto il continente avesse fatto indigestione di rosso.

Sicuramente, dunque, la sinistra ha bisogno di essere in cabina di pilotaggio per poter essere efficiente, ma la cabina non è più qui, è lassù, ai vertici europei. Non che gli stati nazionali abbiano le mani del tutto legate, ma aggiungendoci pure la crisi economica, ciò che si può attuare dal punto di vista economico quaggiù è al massimo una manovra tiepida. La sinistra ha oggettivamente bisogno di una libertà d’azione maggiore e per questo, affinché possa rinascere, i suoi interpreti dovrebbero puntare ad acquisire importanza in ambito europeo più che in ambito nazionale. Molto facile a dirsi, intricatissimo a farsi: la verità è che non esistono ancora veri e propri partiti europei, gli schieramenti che ci sono non sono altro che agglomerati di gruppi nazionali. Cominciare innovando il sistema partitico europeo potrebbe essere la nuova grande sfida per poi ripartire, sempre che lo si desideri.

La sinistra deve rinascere in grembo al suo killer, l’Europa.