Studente presso la facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, scrittore per il Prosperous Network. Fra fumetti, tecnologia e libri mi appassiono alla politica nostrana.

All’indomani del referendum costituzionale tante cose si possono dire, ma non che i sondaggisti abbiano sbagliato il tiro, anche se, a dirla tutta, con un’affluenza così alta molti esperti sostenevano che il Sì avrebbe potuto spuntarla.
Nonostante questo, sembra comunque sempre più difficile per la statistica assecondare e riportare il vero clima della scena politica e sociale. Non si possono dimenticare le batoste di Brexit e Trump, in cui si è stati colpevoli di non aver inteso l’atmosfera fra gli elettori, e non si può che osservare l’esito del voto italiano e chiedersi “Come capire chi ha votato per Renzi e chi in base alla riforma? Chi ha fatto il tifoso e chi lo studioso?”.

Un vicolo cieco insomma, da mettersi le mani nei capelli.

Sembra quasi che un tempo gli elettori fossero più prevedibili e rispondessero meglio se chiamati in causa dai sondaggisti; in effetti analizzando il clima politico una lettura di questo genere risulta quasi scontata, si sa che lo scenario che si ha davanti porti i cittadini a votare “di pancia” (c’è chi invita proprio a fare questo senza i peli sulla lingua che politici di un tempo avrebbero avuto).

Certo, se questo seguire la pancia fosse qualcosa di cui andare fieri, ciò trasparirebbe indubbiamente anche nei sondaggi, in realtà la situazione si fa complessa proprio giunti a questo punto. Il nodo del discorso è: quanti elettori si mostrano per quello che sono e quanti invece preferiscono non rendere pubblica l’intimità della loro scelta, travestendola da qualcosa che non è?

Non si tratta di semplice riservatezza, ma della decisione, interrogati da qualcuno, di dichiarare il falso per non sembrare politicamente scorretti, perché sì, chi vota seguendo un sentimento che non sia né razionale né nobile, o comunque socialmente accettato, sa di compiere un’azione di per sè non convenzionale, non condivisa dalla parte più “intellettuale” e preparata della comunità; ecco perché spesso tali soggetti preferiscono tacitare il proprio pensiero in sede statistica.

Dunque nei sondaggi d’opinione vengono talvolta fuori risultati che non rispecchiano la società intera, oppure nei vari termometri politici si riscontrano sensibili dati percentuali che verranno poi rivisti pesantemente dopo le urne e, ancora, per prendere d’esempio il tema caldo del referendum, certi già convinti “Sì” e “No”, basati solo su simpatie e antipatie, si sono detti “indecisi” fino all’ultimo, vista la pressione sacrosanta fatta da molti, fra cui certi giornali, di effettuare un voto in base al merito della riforma, non su giudizi alle personalità politiche (analisi questa puramente personale).

Tale tematica sta prendendo sempre più piede negli ultimi anni all’interno del dibattito della scienza politica tanto da scomodare grandi esperti nostrani come Marco Tarchi, che sostiene da tempo la fallibilità del metodo di raccolta dati: l’intervistato dovrebbe sentirsi a proprio agio nell’anonimato, come sarebbe presumibile, invece nel confronto tête-à-tête prevale un sentimento di riservatezza e il dato ne risulta snaturato. L’intervistato, inoltre, essendo contattato telefonicamente, sperimenta un sentimento inconscio di insicurezza, chiedendosi ad esempio, sottolinea Tarchi, come abbiano fatto certe persone ad ottenere il proprio numero. Per non parlare poi della soggezione provata nel dover sostenere un confronto a quattr’occhi col sondaggista.

Certo non può mancare, in questa rassegna forse fin troppo semplicistica degli umori che non vengono colti dalle analisi, il fattore internet, che si lega indissolubilmente con quanto detto finora; i cittadini non trovano più nelle interviste anonime il rifugio primario per esprimere un’opinione che arriva dalle proprie viscere, lo strumento principe è diventato il social network.

Penseremmo che in rete utilizzando un profilo personale si sia alla luce del sole, dunque addio privacy, in realtà l’aspetto virtuale e la possibilità di creare un altro individuo all’infuori di sé che “sputi” tutta la rabbia e incomprensione verso la politica è l’opportunità principale per l’avente diritto medio di oggi. Il cittadino-internauta non ha più bisogno di nessuno per sviluppare la propria idea: la manifesta al mondo tramite i social, ancor più riluttante se al contempo sperimenta un’avversa pressione giornalistica, per poi riguardarsi nella vita reale a confronto con altri individui in carne e ossa, quegli stessi individui che avevano esercitato, fino a un po’ di tempo fa, una certa influenza nella creazione di un’idea politica fra la gente: erano i leader d’informazione locale, quei personaggi effettivamente preparati sugli argomenti, spesso oggi bypassati, declassati: ecco servito lo squarcio fra opinione ponderata e opinione comune.

Non che ci fosse mai stata una corrispondenza troppo forte, per carità, ma comunque si delinea un’accelerazione del politicamente scorretto in maniera esponenziale, tanto da modificare gli equilibri avuti fino ad ora.

Guardando esclusivamente all’Italia, l’umore galoppante della gente si ripercuote anche in seno alla politica, dove il divario fra esponenti populisti e pro-establishment si è radicalmente ristretto, il linguaggio è andato ad assomigliarsi (poste comunque le dovute distanze) tanto da non permettere di poter fare una distinzione fra gli uni e gli altri in vari frangenti. Si assiste ad un appiattimento del discorso politico, specialmente di fronte a determinate platee, che non può che portare le analisi sugli umori delle persone a complicarsi ancor di più. La politica “canonica”, d’altronde, sperimenta il bisogno di affacciarsi a canali comunicativi nuovi proprio adesso che la voce degli strati più bassi è amplificata dai mezzi d’informazione di massa, come si è detto sopra.

Ovviamente poi più in là ci si dovrà sincerare su quanto questo alimentare la pancia della gente da parte di certi partiti sia stata una tattica al pari delle altre per raggiungere una posizione elitaria, e quali risvolti ne verranno fuori.

Nel momento in cui l’antisistema per eccellenza andrà ad occupare una posizione di istituzionale importanza aprirà indubbiamente a dinamiche politiche nuove: il ritorno all’antico, o la creazione di un fronte politico che adotti un linguaggio ancora diverso?

Sondaggista, in bocca al lupo!

Articolo di Stefano Ciapini