Studente di biotecnologie all'Università di Pisa, nato e vissuto a Cagliari fino al 2016. Mancino, da cui il nickname.

Se ne dica quello che si vuole, l’Unione Europea non piace a nessuno. Questa non è un’iperbole, un modo di dire o un’esagerazione. L’Unione Europea non piace letteralmente a nessuno: gli europeisti ne vorrebbero di più, gli euroscettici ne vorrebbero meno, i nazionalisti credono che gli obiettivi comunitari siano quelli di eliminare le identità nazionali, i globalisti vi aspirano, i populisti parlano di un’Unione amica delle banche, per i liberisti questa soffoca i mercati con limitazioni impossibili da assecondare. Anche dal suo interno, l’unico ad aver difeso lo status quo dell’Europa come trattato internazionale tra stati sovrani e indipendenti è stato il presidente della Commissione Europea, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, in una sua esternazione lo scorso anno.

Insomma, come spesso accade in politica estera questa Europa è un prodotto di compromesso e i compromessi spesso mettono d’accordo tutti senza far felice nessuno. E dunque se questa Europa non va bene, qual è l’Europa giusta? Esiste un’Europa che possa mettere d’accordo i sogni federalisti, paneuropei, nazionalisti e al contempo essere apprezzata dal volgo disinteressato alla politica?
Se esiste per raggiungerla c’è bisogno di riforme strutturali, ma anche di una nuova faccia per questa Unione, di un nuovo modello di marketing. L’Europa dei Popoli non parte infatti dalla politica, né da quella parlamentare né dall’attivismo. Parte invece dal popolo, colto o ignorante che sia.

Simboli

Esiste in psicologia un fenomeno chiamato cognitive ease, rozzamente traducibile come abitudine cognitiva, che può essere definito come la tendenza della mente ad apprezzare ciò che riconosce. Si tratta di un fenomeno ampiamente sfruttato dall’industria pubblicitaria: se un marchio, un motivetto, un tormentone vengono ripetuti un numero sufficiente di volte questi diventeranno familiari e con essi il prodotto, che quindi viene acquistato più facilmente. Servono dunque simboli allettanti e martellanti.
Uno di questi, poco sfruttato, è quello del mito greco del rapimento d’Europa. Europa e Zeus sono presenti su monete, statue e sono apprezzati anche dagli artisti di deviantart (come si può vedere nella copertina, dell’utente Optimus01). Questi personaggi non sono però familiari a nessuno se non forse agli europeisti accaniti e un simbolo sconosciuto è un simbolo inutile. Si potrebbe abbandonarlo ma come detto prima ha un uso consolidato, seppur di nicchia, e i simboli grafici non sono tanti da risultare dispersivi. Parlando di simboli grafici, uno stemma o un emblema sarebbe necessario. La bandiera è bella, è iconica e riconoscibile ma la forma rettangolare è fortemente antiestetica quando appare su patenti, patrocini, documenti vari. Che si tratti di un semplice scudetto come quello sloveno, di un blasone complesso come quello spagnolo o di un emblema non araldico come quello italiano e quello francese, serve un segno compatto, rotondo e gradevole. C’è un simbolo in particolare che merita un paragrafo a sé.

Inno

L’Ode alla Gioia è stata una giusta trovata, certamente. La musica è artisticamente apprezzabile, orecchiabile, è priva di diritto d’autore, ha natali pienamente europei, in particolare tedeschi. Proprio per venire incontro alle accuse di germanocentrismo però l’inno presenta un difetto fondamentale, l’ennesima scelta di compromesso: non ha un testo, è scritto, citando le parole del sito istituzionale, nel linguaggio universale della musica.
Il linguaggio universale della musica, tuttavia, ha il difetto fondamentale di non poter essere cantato quando risuona, non ha alcuna partecipazione dal pubblico. La cosa, per giunta, è facilmente riparabile: esistono proposte di traduzione in latino ed esperanto del testo di Schiller, prive dunque di prerogative locali o campaniliste, a cui si aggiungono le mille traduzioni nelle varie lingue nazionali scritte dal 1785 ad oggi (si segnala quella italiana ad opera di Arrigo Boito).
L’inno muto non è certo un’invenzione comunitaria, ma è adottato solitamente da nazioni in cui l’identità nazionale è messa in serio dubbio come la Spagna e il Kosovo. Inoltre vedere la squadra spagnola a labbra serrate durante l’esecuzione della Marcha Real è uno spettacolo abbastanza penoso.

Calcio

Difficilmente si può trovare qualcosa di più europeo del calcio. Unisce la nordica Germania con la mediterranea Italia e l’occidentale Francia alla slava Polonia. Il Belgio si trova realmente unito sotto la stessa bandiera solo quando gioca la nazionale, e questo si potrebbe dire anche per l’Italia. Il discorso vale anche al contrario: il rifiuto della Scozia di condividere il tifo con l’Inghilterra è sintomo di un mal di pancia secolare tra le due nazioni.
Insomma, serve che qualche ricco europeista con qualche milione da buttare crei una squadra blu stellata e che la faccia giocare in campionati con buona visibilità.
Questo si può applicare anche a sport meno seguiti e magari, un giorno, anche alle Olimpiadi.

 

Politica estera

Entriamo ora nel vivo delle riforme strutturali. Quali che siano le opinioni sul federalismo e sugli Stati Uniti d’Europa, l’Unione avrebbe solo vantaggi se in politica estera agisse come un’unica entità. I rapporti tra stati sono sempre giochi di forza e ovviamente la somma degli stati europei è strategicamente, commercialmente e diplomaticamente inferiore ad un’unica grande Europa dagli interessi congiunti.

Per fare un esempio che ai populisti e nazionalisti nostrani avrebbe fatto squagliare il cervello, immaginate se durante l’incidente diplomatico con l’India per i due fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, l’Italia anziché trovarsi sola soletta a discutere con uno stato dotato di armamenti nucleari avesse avuto dalla sua altri ventisette stati di cui tre militarmente significativi, più di metà appartenenti al Patto Atlantico e facenti parte insieme della più grande economia al mondo. Anche solo una minaccia di embargo (minaccia per altro poco realistica) avrebbe riportato i due marò su un aereo diretto a Fiumicino.

 

Esercito

Per rendere ancora più convincente la politica estera comune servirebbero forze militari congiunte. Non un’alleanza, come la NATO, ma un unico esercito di terra, un’unica aeronautica militare, una marina mediterranea e una marina atlantica, tutti centralmente coordinati. Per farlo bisognerebbe unificare alcune discrepanze, fare l’inventario di tutti gli armamenti, tenere referendum sulla leva obbligatoria ove ancora presente e rimboccarsi le maniche in tutto il continente. Il gioco, un solo esercito comunitario e il peso internazionale che ne verrebbe, comunque varrebbe certamente il costo.

Politica economica

Questo più che un provvedimento politico o d’immagine è una necessità. Non c’è abbastanza spazio in questo articolo né abbastanza competenze in materia economica nel curriculum del suo autore per poter suggerire una politica economica comunitaria, quale che sia questa. Una cosa appare però evidente anche agli ignoranti in materia: condividere la politica monetaria senza avvicinare la politica economica è stato un azzardo a cui si deve rimediare prima possibile.
Secondariamente, comunque, si avrebbe anche un’ottima pubblicità se gli organi democratici del Vecchio Continente puntassero i piedi contro la Troika, vista da molti come l’incarnazione della tecnocrazia, del Nuovo Ordine Mondiale e della panna nella carbonara.

 

Aiuti tra stati membri

Se le calamità naturali in Italia e gli attentati in Francia e in Germania ci hanno insegnato qualcosa è che più che qualsiasi fondo per l’agricoltura, più di qualsiasi protezione del consumatore e decisamente più di TTIP e CETA, ai cittadini piace sentirsi protetti e coccolati in situazioni meno quotidiane e più eroiche. Più pubblicità alle azioni congiunte di protezione civile in caso di disastri naturali e non, insieme ad una buona visibilità alla collaborazione tra le intelligence darebbero lustro all’immagine dell’Unione.

 

Democrazia

Questo è il punto più importante e forse sta proprio qui la linea tra un’organizzazione statale e una sovrastatale. È anche, ovviamente, il più difficile da ottenere. Semplificando grossolanamente all’interno dell’Unione Europea il potere legislativo è esercitato dall’Europarlamento e dal Consiglio dei ministri europei, mentre l’esecutivo risiede nelle mani della Commissione Europea.
I cittadini, ognuno tramite il proprio stato, eleggono un certo numero di rappresentanti al Parlamento Europeo (73 nel casoeu-organi dell’Italia durante la legislatura 2014-2016) e, collettivamente, il presidente della Commissione Europea. I membri di questa, invece, sono
nominati dagli stati membri. Il Consiglio invece è nominato di volta in volta dall’esecutivo degli stati membri e la sua composizione può variare ad ogni sessione, dato che viene convocato solo per questioni specifiche e vi prende solitamente parte il ministro preposto alla questione all’ordine del giorno (per esempio in materia economica e di bilancio interverranno i ministri delle finanze dei paesi membri).

È facile vedere da cosa derivi il malcontento sia degli europeisti sia degli euroscettici, specie confrontando questo sistema ad uno ben più familiare: quello nostrano.
Il sistema di governo italiano ha una rappresentanza molto bassa ma, per così dire, messa nel punto giusto. Come si è detto e ripetuto a causa di vari scivoloni circa la nomina del Presidente del Consiglio, secondo la Costituzione il popolo elegge la Camera e il Senato e a questo si limita l’esercizio democratico dei cittadini comuni. Il Parlamento costituisce però il cuore pulsante della Repubblica. È il Parlamento, e quindi la nazione, a legittimare tutte le altre cariche: esso elegge il Presidente della Repubblica, concede la fiducia alla squadra di governo, nomina un terzo dei membri laici del Consiglio Superiore della Magistratura e, ovviamente, detiene il potere legislativo.
Per contro, l’Europarlamento è quasi la Camera Bassa dell’Unione Europea, costretta a spartire il potere con un organismo di nominati e ad affidarsi ad un altro organismo poco democratico per l’applicazione delle leggi che promulga.
Esiste un altro esempio di potere esecutivo collettivamente esercitato, ovvero il Consiglio Federale svizzero. Come già fatto notare in un mio precedente articolo però la politica elvetica è interamente imperniata sulla democrazia diretta, quindi quest’organo collegiale funziona perché reale espressione del volere della nazione.
Alcuni suggerimenti da parte dell’autore e di tanti europeisti: serve una camera paneuropea che rappresenti i cittadini nel loro insieme anziché attraverso i propri stati nazionali, affiancando l’Europarlamento, e serve più presenza democratica nell’esecutivo. Si tratta di un cambiamento che piacerebbe non solo a chi nell’Europa vede del potenziale, ma probabilmente anche a chi non vi nutre speranza alcuna o addirittura a chi serba qualche risentimento, considerando che i maggiori partiti euroscettici sono raccolti nell’Eurogruppo per la Libertà e la Democrazia Diretta.

La strada è lunga, insomma, ma stiamo già camminando. Forze politiche differenti, dai socialisti del PES ai liberali dell’ALDE si stanno muovendo per trasformare questa Europa in una casa democratica e civile per i suoi cittadini.

Articolo di Enrico “Scaevola” Casu